Final Destination 5

05/10/11 - Torna la saga horror in cui non si può sfuggire alla morte. Diretto da Steven Quale, il film 3D non eccelle per script ma per le scene di tensione.

Steven Quale, collaboratore storico di James Cameron e regista della seconda unità dei suoi lavori commercialmente più lucrosi (Titanic e Avatar), esordisce sul grande schermo con il quinto capitolo della saga di Final Destination, non certo popolare per le sue qualità di sceneggiatura, bensì per la fine truculenta dei suoi protagonisti. Perché, se si sventa il destino della morte, in qualche modo il karma deve ritrovare il suo equilibrio e mettere le cose in pari. Di conseguenza, se è destino è destino e la morte torna sempre a bussare alla porta e con gli interessi. Perciò, una volta che lo spettatore è consapevole dello spettacolo al quale va incontro il divertimento è assicurato. Perché questo quinto episodio del franchise non brillerà certo per dialoghi, stantii e ripetitivi pur con qualche parvenza di autoironia, ma la regia delle scene di tensione e pathos sono di altissima qualità. A cominciare da quella iniziale della caduta di un ponte, congegnata e strutturata con spettacolare precisione nonché ottimamente montata nelle sue sequenze, ma quella da antologia, la più bella, già pronta a diventare un cult, ha per protagonista una ginnasta.

Minuti e secondi che si alternano con grande sapienza registica e narrativa, capaci modulare suspence e crudele scherno, spostando il punto focale dell’azione ingegnosamente. L’ironia traspare dai difetti, o meglio dall’esasperazione di essi; infatti, compaiono cadaveri che sembrano bambole, parti del corpo che sembrano peluche. L’immissione di questi elementi in qualche modo sdrammatizza il più doloroso e universale dei momenti di ciascuna vita. La morte, esorcizzata, viene raccontata quasi come un gioco, possiede una funzione ludica. Così come il cinema che viene depauperato di tutta la sua funzione intellettuale e corredata da un 3D utile solo alle scene splatter e “affilate”. Eppure, nei giorni successivi la visione, gran parte degli spettatori si guarderanno le spalle o rifletteranno sul compimento delle azioni più sciocche del vivere quotidiano, come andare dal medico, dalla massaggiatrice, entrare in una cucina o prendere un autobus. Una pellicola di genere che resta fedele al significato intrinseco della sua fruizione. Con una piccola sorpresa finale che permette la chiusura del cerchio della vita e… della narrazione.

ERMINIO FISCHETTI

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