Flussi seriali

03/06/11 - La strada per Avonlea: le virtù morali degli abitanti dell’isola di Prince Edward a inizio Novecento nel Canada presbiteriano.

Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane a cura di Erminio Fischetti

flussi-serialiLucy Maud Montgomery è di quelle scrittrici che nei primi decenni del Novecento ha partorito storie su povere orfanelle in perfetto stile Pollyanna e Heidi. La serie dei libri da lei scritti sulla popolare Anna dai capelli rossi è un’istituzione per i canadesi. Oltre al popolarissimo cartone animato giapponese del 1979, ne sono stati tratti numerosi film per la televisione a partire dalla metà degli anni Ottanta, prodotti dalla Sullivan Entertainment, che hanno fatto di Megan Follows, la protagonista, quello che Hayley Mills era stata per la Disney nei primi anni Sessanta. Un carriera di pochi anni finita nel nulla. Stessa sorte sarebbe toccata alla giovanissima Sarah Polley, star indiscussa che successe alla Follows con la serie televisiva La strada per Avonlea, se non fosse stata abbastanza intelligente da decidere di mollare il ruolo di brava bambina prima che fosse troppo tardi e dedicarsi al cinema e a ruoli più adulti e maturi.
Il buon Kevin Sullivan, che ha praticamente basato la sua carriera di sceneggiatore, produttore e regista sull’adattamento televisivo di questa letteratura presbiteriana dalla morale d’acciaio, ha fatto ovviamente della Montgomery la sua portabandiera.

La serie è basata sui caratteri dei personaggi (alcuni dei quali compaiono anche nella serie su Anne) sviluppati dalla Montgomery e sui libri The Story Girl, The Golden Road, Chronicles of Avonlea, Further Chronicles of Avonlea. Non a caso le storie di Sarah Stanley si svolgono tra il 1903 e il 1912 nel villaggio dell’isola di Prince Edward – ambientazione di tutte le storie dell’autrice canadese e luogo dei suoi natali – quando Anne Shirley ha già abbandonato l’isola. Non a caso alcuni personaggi e sotto-storie continuano da una serie di racconti all’altra. Rimane sempre lo stesso mondo, che inevitabilmente resta quello di Lucy Maud Montgomery. Sarah è anche lei orfana, ma a differenza di Anne è un’ereditiera, e vive con le due zie zitelle, la ferrea Hetty e la buona Olivia, e si contorna dei cugini Felicity e Felix e dei loro genitori. Di conseguenza la natura narrativa risulta un po’ più leggera di quella della povera Anne, la cui bontà e dedizione permetteranno ad aridi adulti di addolcire i propri sentimenti.

La serialità della letteratura per l’infanzia si trasforma in serialità televisiva lasciando intatto il senso etico e morale che le storie vogliono trasmettere. Il valore cosiddetto educativo di tali vicende con tutti i rigurgiti drammatici e patetici del caso, la fierezza e la solidità di una comunità operosa, la loro rettitudine che viene mantenuta pedissequamente sui canoni in questione è solo una messa in scena all’interno di una società molto più articolata, complessa, infelice e infagottata in una religione che frena pulsioni e sentimenti. Una serie come La strada per Avonlea è fuori tempo massimo propinata alla società degli anni Novanta. Stona e risulta poco credibile per un pubblico moderno. Infatti, per quanto ben curato nella confezione, con un cast molto ben assortito e di gran livello, guest star di eccezione – di cui negli anni si annoverano nomi come Dianne Wiest, Christopher Lloyd, Stockard Channing, Faye Dunaway, Maureen Stapleton – il prodotto di Sullivan risulta irritante proprio per l’eccessiva fedeltà al valore degli scritti della Montgomery; senza essere in grado così di trovare quella revisione storica e sociale di cui il soggetto necessita. Fedeltà cieca a queste vicende, che sono in realtà precise, dettagliate, persino ben scritte nel loro ritmo, dotate di umorismo, con una buona caratterizzazione dei personaggi e una circolarità e varietà anche interessante. Ma purtroppo fasulle. Sullivan è esperto del settore, ma rimane all’interno di una veste agiografica e anti-revisionista. Eppure in patria e negli Stati Uniti, trasmessa da Disney Channel, ebbe a sorpresa un grande successo di pubblico, sintomo di un forte desiderio da parte di esso di rimanere incollato alle tradizioni verrebbe da dire, conclusione reale è invece di un’ipocrisia delle famiglie che ovattano i ragazzini tenendoli ben lontani dalla realtà propinandogli un mondo che nella migliore delle ipotesi è stato massicciamente edulcorato. Il risultato è un’atrofia storica atta, oltretutto, a far sentire in colpa il povero ragazzino che deve “essere grato” perché è più fortunato!