Four Lions

26/05/11 - Commedia inglese su un gruppo di terroristi islamici: si ride poco e ci si domanda se non sarebbe stato necessario un diverso approccio culturale.

Chris Morris è una figura di comico britannico famoso in radio e alla TV che ora con Four Lions esordisce alla regia per lungometraggi. Sua palese intenzione è ridicolizzare il terrore islamico mostrando dei terroristi che si comportano da idioti. Ecco spiegata perciò la scelta di adottare un registro da commedia demenziale che, però, fa acqua da ogni parte. Su un piano meramente cinematografico, Four Lions mostra una regia approssimativa tipica di chi è a tutti gli effetti un principiante; la stessa sceneggiatura si limita a giocare al contro-cliché (il cliché visivo dei video girati dai terroristi, ad esempio) rimanendo perciò nel campo della risata crassa del tipo “tutto quel che pensate che un mujaheddin faccia sul serio è in realtà frutto della sua totale incompetenza”. Per conseguenza, sul piano della scrittura, tra il gruppo dei quattro scellerati che decidono di fare un attentato non emerge neppure un personaggio che sia degno di questo nome, che abbia un minimo di umanità e di credibilità. Ma in realtà fin qui non c’è nulla di grave perché significherebbe parlare di Four Lions come di un film mal riuscito; quel che davvero non risulta digeribile nel film d’esordio di Chris Morris è il suo approccio culturale, l’idea che sia giusto e necessario ridicolizzare l’Altro. Ciò è possibile farlo solo se si riesce anche ad assumere il punto di vista dell’Altro, se si fa un tentativo per cercare di comprendere le sue ragioni. E invece i protagonisti di Four Lions decidono di fare ed essere terroristi senza alcun motivo, probabilmente solo perché sono islamici.

Ed ecco che allora emerge il razzismo di fondo di una operazione del genere, un razzismo forse involontario, ma su cui non si può soprassedere. Four Lions infatti racconta in realtà un punto di vista ben preciso, il presupposto e la presunzione che il modello occidentale sia per forza superiore a quello orientale; le canzoni e gli stili di vita dell’Occidente non possono non vincere sul resto. Si tratta di un approccio decisamente limitante se si vuole ragionare in qualche modo, sia pur in termini di commedia e sia pur su un piano demenziale, sul tema del conflitto religioso e culturale. Era forse esagerato aspettarsi che Chris Morris e i suoi collaboratori alla sceneggiatura avessero letto Orientalismo di Edward Said prima di mettersi al lavoro, ma almeno studiarsi Borat sarebbe stato utile. In quel film Sacha Baron-Cohen si travestiva esplicitamente da “alieno” per giocare consapevolmente sul tema dell’incomunicabilità Oriente-Occidente, qui invece si vuole pretendere di avere un punto di vista mujaheddin senza averne minimamente né gli strumenti né la volontà.

ALESSANDRO ANIBALLI

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