Hong Kong, l’urbe maledetta

01/05/11 - The Stool Pigeon, ritratto crudele dell'ex colonia inglese, riempie la seconda giornata del Far East Film a Udine.

Dal nostro inviato ALESSANDRO ANIBALLI

Dante Lam è uno dei rari maestri del cinema action hongkonghese rimasto a lavorare in patria (un altro è Johnnie To), quando altri e più noti colleghi, come John Woo, hanno cominciato ad affidarsi alla sempre più solida industria cinematografica della Cina continentale. In effetti, anche The Stool Pigeon, il nuovo film di Dante Lam presentato alla 13/a edizione del Far East Film, si avvale di una co-produzione con la Mainland, ma ciò non toglie che sia esplicitamente rivolto a un pubblico hongkonghese. La violenza visiva e psicologica con cui Lam ha innervato il suo film, infatti, è figlia della grande tradizione dell’action dell’ex colonia britannica e altrettanto si deve dire della dialettica servo-padrone che si sviluppa tra i due protagonisti, l’uno un poliziotto, l’altro un piccolo delinquente costretto a fare da infiltrato. Ma, ancor più degna della gloriosa tradizione da cui proviene, è la messa in scena di Lam, istintiva, carnale e sanguigna, capace di restituire un ritratto spietato di Hong Kong, isola-città ontologicamente segnata dall’ingiustizia. Pur appesantito da una sceneggiatura che a tratti indugia nel patetico (con particolare riferimento al tragico passato del poliziotto protagonista), The Stool Pigeon è arricchito almeno tre sequenze action da antologia, soprattutto l’ultima che impone la fatale esplosione di violenza tra centinaia di banchi e seggiole di una scuola elementare abbandonata.

In appena due giorni di festival perciò risulta già evidente come il modello cinematografico hongkonghese, tra The Lost Bladesman e The Stool Pigeon, sia ancora superiore al prodotto medio delle altre cinematografie orientali. Lo dimostra indirettamente The Man From Nowhere del coreano Lee Jeong-beom, campione d’incassi del 2010 in Corea del Sud, in cui la meccanica del revenge movie viene annacquata da una messa in scena fastidiosamente perfettina e laccata, da un protagonista fatto interpretare a un attore più adatto a fare il modello che l’interprete (Won Bin) e da una pletora di cattivi non facilmente distinguibili l’uno dall’altro. Vi si respira nel complesso un’aria esornativa, in cui si fatica a entrare nell’umanità del main character, perdendo perciò il motore principale dell’azione (il suo desiderio di vendetta); tutto ciò in un action hongkonghese non accade mai, perché il passato e i rimossi dei personaggi sono “carne viva” che alimenta il film. Vagamente esornativa e pretestuosa è apparsa anche la nuova fatica di Park Chan-wook che, insieme al fratello Park Chan-kyong, ha deciso di misurarsi con un mediometraggio (33′) girato con un iPhone. Finanziato dall’operatore coreano della Apple, Night Fishing è sostanzialmente la pubblicità di un prodotto (tutti possono dirigere il proprio film con l’iPhone), persino parzialmente non veriteria visto che i fratelli Park hanno avuto a disposizione un sostanzioso budget, hanno usato degli obiettivi cinematografici, hanno montato l’iPhone persino su un dolly, per poi ri-lavorare il tutto in post-produzione. Stilisticamente comunque il risultato è davvero apprezzabile: la grana dell’immagine ha un suo particolare fascino, con un retaggio da acquarello impressionista.

Ennesimo esempio invece di gioventù giapponese deviata e condannata all’infelicità è Villain di Lee Sang-il, uno degli undici film nipponici selezionati nel concorso della 13/a edizione del Far East Film. Pur diretto da un coreano trapiantato in Giappone, Villain si compone della tradizionale descrizione del disagio adolescenziale dei giovani giapponesi, concentrandosi in particolare nella figura di un assassino, potenzialmente affascinante ma estremamente contraddittorio nei comportamenti. E, tra l’altro, non è questo né l’unico né il maggiore problema che si riscontra nel film: si passa da una estenuante mancanza di sintesi a un moralismo di fondo davvero fastidioso (la società moderna ha rovinato la gioventù), fino a continue deviazioni dedicate a personaggi secondari. Eppure, nella confusione generale, in Villain resta fermo il patetico e commovente ritratto della ragazza innamorata dell’assassino, un personaggio che si fa apprezzare per la sua limpidezza emotiva.