La Russia vista da Pesaro

30/06/11 - Panoramica sulla produzione contemporanea dedicata ai documentaristi, seconda parte del focus proposto nel 2010 alla Mostra del nuovo cinema.

Dal nostro inviato Silvio Grasselli

Ogni promessa è debito, si diceva una volta. Così dopo averla annunciata già all’inizio dell’edizione 2010 (che accanto all’Evento Speciale dedicato a Carlo Lizzani, metteva in primo piano la sezione dedicata al cinema russo contemporaneo, salvo poi scoprire che si trattava solo di una prima parte, il cinema a soggetto), Giovanni Spagnoletti ha rispettato la parola data e, nonostante i tifoni e le innaturali calamità che hanno afflitto il budget del Festival, ha offerto al pubblico dell’edizione 2011 una selezione di corti, medi e lungometraggi documentari russi prodotti nelle ultime stagioni.

Difficile pensare di rendere un vero servizio al pubblico italiano senza un apparato storico-critico a latere che desse conto almeno in parte delle complesse ma appassionanti vicende che stanno dietro la produzione documentaria in Russia. Questo è mancato, come è mancata una selezione che tentasse di costruire un discorso, di cucire insieme i film proiettati con un filo logico esplicito. Le difficoltà economiche certo pesano su questi risultati, ma forse qualcosa in più poteva essere fatto. Resta comunque una apprezzabilissima panoramica su una (piccola) parte del cinema di non fiction prodotto in Russia. Un programma questo divenuto ormai urgente e indispensabile per un festival che per statuto si occupa – o si dovrebbe occupare – del “nuovo cinema” proprio perché se c’è un cinema nuovo in giro per il mondo questo è certamente il cinema documentario – nell’accezione più ampia della categoria – e se dentro questo calderone ribollente che è il cinema documentario esistono movimenti ampi che riguardano intere nazioni e che contengono al proprio interno energie vitali uno di questi è certamente il documentario nato tra Mosca e San Pietroburgo. Già perché una delle cose che accomuna l’esperienza di tutti o quasi tutti i registi della selezione è la provenienza dalla scuola di cinema di Mosca e/o la collaborazione con il St. Petersburg Documentary Film Studio – vera e propria factory anti-istituzionale – i due poli di carica opposta intorno ai quali si sono formati e hanno lavorato molti dei documentaristi russi (e non solo) negli ultimi vent’anni. A cominciare dai due maestri Kosakovsij e Loznitsa. Del primo son stati scelti due dei suoi film più recenti: in Svyato Kosakovsij registra per ben 33 minuti la reazione del figlio di due anni alla prima scoperta della propria immagine riflessa in uno specchio, in Tishe invece uno sguardo anonimo segue da una finestra con insistenza discreta le vicende che accadono giù in strada, dalle piccole peripezie quotidiane dei passanti all’insensato, ripetitivo lavoro di operai e spazzini. Di Loznitsa invece si è visto solo Blokada prodigioso lavoro di rimontaggio dei preziosi materiali d’archivio girati durante l’assedio di Leningrado (scovati dallo stesso regista negli archivi di Mosca) minuziosamente, maniacalmente sonorizzati da Vladimir Golovnickij, sound designer divenuto ormai quasi una star per le sue prodezze da fonico di studio. Poco non solo per comprendere la complessità e la perizia di un regista nato matematico (condividendo in questo il destino di moltissimi cineasti delle ultime due generazioni, spesso partiti da studi scientifici e solo dopo approdati felicemente al cinema) e diventato poi lucido artefice di cinema, ma anche per poter verificare la crescita professionale di altri due documentaristi scelti dal festival (protagonisti di un omaggio), una coppia di registi che accanto a Loznitsa hanno iniziato e affinato il proprio percorso.

Si tratta del russo Pavel Kostomarov e dello svizzero Antoine Cattin, rispettivamente direttore della fotografia e aiuto regista accanto al collega più maturo. I due hanno iniziato a collaborare nel 2003 e hanno fondato insieme Kinoko, società di produzione con la quale hanno girato insieme tre film: The Transoformator – sagace racconto breve sulla sventura capitata a una coppia di manovratori nella più sperduta provincia russa – Life in Peace – mediometraggio concentrato sul destino di un padre e di suo figlio, entrambi ceceni, alla ricerca di una vita salva in terra russa – e The Mother – ritratto della condizione femminile e dell’istituto familiare in Russia attraverso l’osservazione della vicenda di una madre sola che sostiene le vite dei figli nonostante le sofferenze e le difficoltà di un’esistenza disperata. Troppo poco lo spazio a disposizione per raccontare anche “gli sguardi femminili” delle documentariste invitate a Pesaro. L’ ultima segnalazione allora la dedichiamo a un film diretto da Kostomarov insieme a un altro regista oggetto di omaggio: Aleksandr Rastorguev. I love you è un incredibile puzzle di storie ottenuto mettendo insieme le immagini girate da una videocamera che all’inizio del film è in mano a un poliziotto e finisce poi per passare di volta in volta a tre amici appena fuori dall’adolescenza: un autoritratto delle giovani generazioni nel Sud della Russia registrato dai protagonisti e riformulato dalla coppia di registi.

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