Il tempo del documentario

30/06/08 - Benedetto Parisi è il vincitore della terza edizione della Festa del documentario "Hai visto mai"...
(A cura di Laura Croce)

30/06/08 – Benedetto Parisi è il vincitore della terza edizione della Festa del documentario “Hai visto mai”, diretta da Luca Zingaretti e conclusasi lo scorso 16 giugno a Siena. L`opera con cui si è aggiudicato il riconoscimento della giuria è “The time of her life”: piccola panoramica sull`esemplare esperienza della fotografa Lesley McIntyre e di sua figlia Molly, morta a 14 anni per una grave malattia muscolare che la affliggeva sin dalla nascita. Ripercorrendo le memorie di questa madre forte e straordinaria, il documentario rivela a piccoli scorci un tema difficile e spesso tabù, ovvero il modo con cui la cura e l`amore possano restituire splendore anche a una piccola vita tormentata dalla disabilità . Radiocinema ne ha intervistato l`autore, per scoprire le sue impressioni sulla Festa che lo ha visto protagonista e sul mondo del documentario italiano in generale.

Ci parli della sua esperienza di documentarista: quali sono le maggiori difficoltà che ha incontrato su questa strada?

La maggiore difficoltà è riuscire ad avere visibilità per il proprio lavoro. E’ un problema del documetario in generale in Italia e lo è ancora di più se, come nel mio caso, si percorre una stada anomala. Mi spiego. La regola sarebbe quella di stilare un progetto e proporlo a un produttore e lavorare a stretto contatto con la produzione che, a lavoro concluso, dovrebbe garantire un`adeguata distribuzione. Purtroppo mi capita di innamorarmi di una storia e così non ho la pazienza di aspettare i tempi non sempre velocissimi dell’iter produttivo. E’ questo il caso di “The time of her life”. Venuto a conoscenza della struggente vicenda di Lesley Mc Intyre e di sua figlia Molly, ho coinvolto nell’impresa la mia amica operatrice Silvia Falanga, collaboratrice preziosa non solo nel curare la fotografia, ma anche nel fornirmi utili suggerimenti nella costruzione narrativa. Tramite lei ho contattato il montatore Babak Karimi e anche da lui ho avuto un apporto fondamentale.Infine (last but not least) dietro al mio lavoro c’è sempre la pazienza e l’attenzione di mia moglie Laura capace di condividere con intelligenza la passione per andare avanti.

Dopo essere stato selezionato alla scorsa edizione del premio Libero Bizzarri e a Visioni italiane, Bologna 2008, il film ha avuto il premio come miglior documentario alla Festa del documentario di Siena “Hai visto mai”. E’ un premio molto “intelligente” perchè consiste nell’acquisto dei diritti per la messa in onda del documentario. E’ quindi un riconoscimento che gratifica sicuramente molto di più di un semplice premio in danaro. A proposito di “Hai visto mai” devo sottolineare la magnifica accoglienza che il festival riserva agli autori nonchè la notevole efficienza organizzativa. Sono tre giorni in cui gli autori hanno modo di stare insieme, confrontare il loro lavoro e scambiarsi utili informazioni e punti di vista. Devo dire che ho apprezzato molto i documentari selezionati (10 su 130) e una cosa che ho trovato comune a tutti è la passione con cui sono stati fatti anche laddove manca una struttura produttiva alle spalle, capace di garantire un adeguato ritorno economico.

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Cosa può portare il documentario al cinema italiano?

Direi molto semplicemente una ventata di aria fresca, un bagno emotivo nella realtà di fatti e sentimenti autentici. Mi spiego con un esempio. Ci sono attualmente in giro un film di finzione ed un film documentario che hanno come oggetto la medesima realtà : “Gomorra” e “Biutiful Cauntry”. Il primo è sicuramente un magnifico lavoro fortemente emozionante, ma il secondo ha in più una capacità di coinvolgimento che dipende dal fatto di fornirci una serie più puntuale di informazioni e un contatto emotivamente molto forte con persone che vivono la drammatica situazione dei rifiuti in Campania. Questa è la forza del documentario: rendere l’umanità degli altri vicina alla nostra.

“The time of her life” è una storia toccante ma molto delicata, che rifugge dal melodramma: perchè secondo lei spesso il nostro cinema ama invece indugiare nel patetismo?

Credo che il patetismo sia la scorciatoia per dare l’illusione di parlare di sentimenti. E questa illusione spesso viene rafforzata dal tono gridato con cui questi presunti sentimenti si rappresentano. In realtà i sentimenti come gli aspetti fondamentali delle vicende umane sono fenomeni complessi che richiedono capacità di approfondimento e umiltà . Sempre di più mi rendo conto che raccontare storie è una semplicità difficile a farsi ed è perciò che si privilegiano aspetti esteriori a danno dell’interiorità .