I’m Carolyn Parker

07/09/11 - Al Lido nella sezione Orizzonti, Demme torna al documentario con il ritratto di una combattiva donna di New Orleans.

Dal nostro inviato ALESSANDRO ANIBALLI

Autentico habitué della Mostra del Cinema di Venezia, il regista americano Jonathan Demme torna al Lido con un documentario dal titolo I’m Carolyn Parker: The Good, the Mad and the Beautiful. Selezionato in Orizzonti, il film è il ritratto di Carolyn Parker per l’appunto, donna combattiva e resistente che per prima tornò nella sua casa di New Orleans dopo il disastro dell’uragano Katrina nel 2005. Demme aveva già presentato a Venezia un documentario su New Orleans, New Home Movies from the Lower 9th Ward (2007), in cui emergeva chiaramente la volontà comunitaria da parte degli abitanti di quel quartiere di ricostruirsi una vita normale dopo la catastrofe. E la stessa Carolyn Parker appariva come personaggio in scena. Nel suo secondo lavoro dedicato a New Orleans Demme perciò riprende diverse sequenze dal suo film precedente (in particolare quelle ambientate nel 2006), per proseguire poi con riprese più recenti tutte incentrate sulla figura della donna. Si potrebbe dire che, dalla volontà di raccontare una lotta comunitaria (che è quanto si vedeva in New Home Movies), Demme sia passato alla lotta privata e agli inevitabili egoismi del singolo.

La Parker è senz’altro un personaggio affascinante e risoluto (fu lei a denunciare pubblicamente la difficile situazione del suo quartiere al sindaco della città), ma la sensazione è che Demme, per amicizia, la lasci troppo a briglia sciolta permettendole di dire ciò che vuole e di raccontare gli aneddoti che preferisce. A questo punto, per aumentare la sensazione di familiarità complessiva, meglio sarebbe stato se lo stesso regista si fosse messo in scena riprendendosi mentre conversava amabilmente con la donna. Ma, a parte un momento in cui lo si vede mangiare, così non è. E forse non dovrebbe sorprendere poi troppo che l’autore di grandi documentari “oggettivi”, di denuncia e dal sano afflato sociale (The Agronomist, 2003, in particolare) si trovi un po’ in difficoltà con un racconto che è per forza di cose intimo e personale. La Parker insomma con la sua esuberanza porta il documentario dove vuole; del resto – e non poteva essere altrimenti – i momenti del film che rimarranno nella memoria pertengono alle sue apparizioni e al suo drammatico e rapido invecchiare, al volto che si fa più rugoso e smunto, all’entusiasmo che poi si lascia andare alla malinconia, ma anche a una lotta per la dignità che non viene mai meno.