L’hiver dernier

02/09/11 - Affresco aspro e realistico sul mondo contadino per un esordio cinematografico promettente. Presentato alle Giornate degli Autori.

Dalla nostra inviata DARIA POMPONIO

Ci sono lavori che più di altri si prestano a essere valorizzati dalla macchina da presa che ne può isolare i dettagli, amplificare il senso della fatica, esaltarne l’etica e con essa l’uomo che ne è portatore. Di certo in questo ambito rientrano tutte quelle attività che si svolgono all’aperto, preferibilmente in paesaggi maestosi e aspri. Ma non assomiglia per niente ai cowboy americani l’esile e silenzioso Johan (Vincent Rottiers), ragazzo di poche parole protagonista di L’hiver dernier di John Shank. Presentato alle Giornate degli Autori di Venezia 68, il film non possiede una vera e propria linea narrativa; piuttosto esorta a un’immersione panica nel paesaggio, segue i ritmi rarefatti del mondo contadino, ne pone in luce le tradizioni arcaiche, l’insopprimibile corporativismo, la sostanziale solidarietà.

Johan cerca di gestire la fattoria paterna nel migliore dei modi, ma il confronto con il padre è per lui opprimente e gli viene continuamente rammentato dai colleghi anziani della cooperativa. Quando poi Johan si oppone fermamente alla produzione massiccia di vitelli da inviare in Italia per l’allevamento in batteria, i consociati lo appoggiano, ma sanno così di perdere un ottimo introito. In seguito la situazione precipita nel momento in cui un incendio, forse doloso, distrugge il granaio della fattoria con annessi tutti gli strumenti di lavoro. Diretto con piglio autoriale dall’esordiente John Shank, L’hiver dernier alterna il realismo del lavoro agreste a momenti di rapita ammirazione per l’universo qui ritratto, oggetto di una mitizzazione forse eccessivamente auto-compiaciuta. Lo conferma il fatto che il nucleo del film è proprio in quella ciclicità del tempo, nell’alternarsi delle stagioni, nella sostanziale sostituibilità delle persone che non sono individui, ma ruoli, pronti ad essere re-incarnati ad libitum. Un’idea seducente e ontologicamente eterea, sfuggente, che però scivola più volte dalle mani del talentuoso regista.