Louis Wimmer

05/09/11 - Cyril Mennegun approda alla SIC con un dramma piccolo e intenso che invita all'ottimismo e dimostra il coraggio e l'originalità di un autore in erba.

Dal nostro inviato SILVIO GRASSELLI

Louis Wimmer è una donna né brutta né bella, né giovane né vecchia, senza una casa ma con un’automobile e un lavoro fisso. Lasciato il marito, Louis vive in solitudine nonostante abbia una figlia e un piccolo circolo di amanti. Pura e dura, la donna conduce una vita organizzata secondo la regola della necessità senza mai concedersi all’accoglienza e all’aiuto che gli altri le offrono, senza lasciarsi sopraffare dall’ostilità degli eventi, senza riuscire a fidarsi completamente di qualcuno. Per il proprio esordio, presentato a Venezia nella sezione Settimana della critica, Cyril Mennegun sceglie una storia piccola, centrata su un personaggio solo. L’interprete protagonista è perfetta, ma Mennegun non si accontenta di costruire il suo film tutto sulle spalle della sua attrice, e anzi mette insieme una struttura cinematografica complessa in cui sceneggiatura regia e montaggio orchestrano una narrazione per frammenti di evidente ispirazione documentaristica.

Louis Wimmer è antipatica, spigolosa, acida, irrigidita e inaridita dalla lotta solitaria contro le avversità quotidiane: solo seguendo in silenzio, con discrezione e da vicino i suoi gesti e le sue poche parole in pubblico e in privato Mennegun poteva riuscire a denudarne la densa umanità. E così succede, in modo tale che a un certo punto uno scatto cambia lo sguardo dello spettatore e anche i tratti più duri e sgraziati della donna diventano improvvisamente commoventi. Le gradazioni dei colori e della luce insieme all’uso della musica diegetica – sempre impercettibilmente prolungata nell’extradiegetico – contribuiscono alla compattezza e alla fluidità del racconto: lentamente alla predominanza della notte, dei grigi, dei neri e dei marrone si sostituisce la prevalenza di giorni assolati, e il ricorrere dei gialli e dei verdi. Un unico brano di musica jazz si ripete con insistenza ossessiva per tutta la prima parte del film, quando si descrivono le notti passate in auto, la routine a lavoro, si accumulano i fronti sui quali la protagonista si dibatte. Dopo una danza liberatoria Louis getta l’autoradio – pezzo effettivo e rilevante della sua casa su quattro ruote – giù da un dirupo. La musica tornerà forte e leggera a coprire il primo vero e pieno sorriso della donna, illuminata da sole e diretta verso un nuovo inizio. Dalla costruzione minuziosa e modesta dell’impianto del film alla scelta coerente ma tutt’altro che facile di un lieto fine aperto, Cyril Mennegun dimostra le qualità di un autore pronto per una lunga carriera.