Missione di pace

10/09/11 - Francesco Lagi porta fuori concorso alla SIC un film demenziale, citazionista e stralunato che scherza con la guerra senza far ridere.

Dal nostro inviato SILVIO GRASSELLI

Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA al regista del film:

  • Francesco Lagi
  • Ancora Timi, ancora Italia, ancora figuracce. Ai giornalisti in sala Missione di pace è piaciuto, ed è piaciuto anche alla rivista Mymovies che gli ha consegnato – nella persona del direttore Giancarlo Zappoli – il premio Say Yes, per il sostegno al cinema indipendente. Ma l’esordio di Francesco Lagi – film di chiusura fuori concorso alla Settimana Internazionale della Critica – è un esperimento mal riuscito, un maldestro e sbilenco tentativo di riportare in Italia la commedia demenziale. Uno dei peggiori film italiani visti alla Mostra di quest’anno. Guadagnati alla causa tre nomi come Silvio Orlando, Alba Rohrwacher e Filippo Timi (sì, ancora lui), insieme al cantante Bugo (Lagi tra le altre cose è anche regista di videoclip musicali), si è pensato di ripartire da dove il cinema popolare italiano di successo aveva interrotto il suo corso, quarant’anni fa o giù di lì, magari inserendo qua e là qualche calco (“citazione” la si preferirà forse chiamare) dal cinema statunitense anni Ottanta. Ecco allora il tema militaresco, l’idea della coralità, il tono stralunato e goliardico, la confezione estetica palesemente virata a una vaghezza che sa di pressappochismo. Un padre comandante dell’esercito e un figlio antimilitarista e fricchettone, in rotta, si trovano uniti in un’avventura rocambolesca che contribuirà al loro riavvicinamento, il tutto testimoniato, coadiuvato e condito da una piccola galleria di personaggi di contorno.

    Far ridere non ammette imprecisioni; Lagi invece – insieme agli altri tre responsabili della sceneggiatura – confonde troppo spesso la comicità con la caricatura, l’interpretazione comica col macchiettismo, la gag con la boutade. Nessuna direzione degli attori (che recitano, approssimativamente, ognuno come può e come sa), una scrittura esile e inutilmente grossolana, costumi peggiori della scenografia, e l’imbarazzante, raffazzonato, posticcio inserimento nel film della figura e della musica del – bravissimo – cantante Bugo: messi tutti insieme, questi elementi schiacciano un progetto non del tutto deprecabile – niente male l’idea del recupero di un genere non tipicamente italiano all’interno della produzione nostrana – con qualche intuizione spiritosa (Timi interpreta un Che Guevara svogliato e distratto nei sogni che fanno da ritornello alle disavventure del giovane protagonista). Una volta si diceva “gioca coi fanti e lascia stare i santi”. Lagi sceglie con leggerezza come teatro dell’azione la ex Jugoslavia e come “missione di pace” quella di assicurare alle galere internazionali uno dei peggiori criminali della guerra fratricida ancora recente: una missione militare armata diventa un raduno d’imbranati, il sanguinario criminale di guerra, una figura a metà tra un eroe mitico e un saltimbanco. La comicità non ammette limiti o divieti? Può darsi, ma la regola fondamentale alla quale anche la comicità non può sottrarsi è l’efficienza, la puntuale e meticolosa messa a punto di tutti gli ingranaggi della macchina per le risate. Altrimenti la satira diventa insulto e lo scherzo bestemmia.

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