Parola al cinema

02/10/09 - "Cosmonauta" di Susanna Nicchiarelli è un`opera prima italiana. Quindi, come molti dei...

Parola al Cinema – Uno sguardo sulla sceneggiatura

“Cosmonauta” di Susanna Nicchiarelli: pregi e difetti dell`umiltà  narrativa italiana

(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)

parola-al-cinema_def02/10/09 – “Cosmonauta” di Susanna Nicchiarelli è un`opera prima italiana. Quindi, come molti dei film di casa nostra, è un`opera “volenterosa”. E` un film piccolo, che tenta di raccontare cose grandi. Malgrado la sua breve durata, è un film narrativamente ricco, pure troppo, che si è scontrato probabilmente con qualche ristrettezza produttiva. E` un film, infine, che cerca pure strade narrative non tradizionali, ma non sempre riesce a trasformarle in strumento di coesione narrativa. Partendo dal ritratto di una liceale visceralmente comunista negli anni delle conquiste spaziali sovietiche, in realtà  Nicchiarelli vorrebbe tracciare un discorso più ampio, che dia conto di un periodo estremamente fertile per la sinistra italiana, quando le idee fiorivano ed entravano in collisione, e quando l`impegno politico era sinonimo di parole ormai desuete come fantasia e creatività . Il ritratto umano di Luciana è vivo, simpatico, ben narrato. Pure le sue difficoltà  di donna, nell`imporsi in una sezione di partito sostanzialmente maschilista, sono messe a fuoco con sincerità  e una contagiosa ironia. E` simpatica la cornice storica (tutto sommato appena sbozzata, a rischio di presepe), e su tutto domina un tono neutro, un po’ ironico e sentimentale con qualche uscita verso un tenue grottesco, ma lontano sia da facili nostalgie sia da declamate retoriche. Insomma, un`opera prima che può definirsi con un aggettivo sommamente odioso, ma qui del tutto pertinente: garbata.

Tuttavia, questo sguardo emotivamente sobrio non rende un buon servizio all`impianto narrativo del film. A Nicchiarelli non cosmonautainteressa una costruzione propriamente narrativa; mette al centro la protagonista e la mette in rapporto al suo mondo circostante, seguendo un andamento quasi da striscia di fumetto. Luciana e l`attività  politica, Luciana e la scuola, Luciana e la famiglia, Luciana e la scoperta del sesso, Luciana e il fratello, Luciana e le fantasie cosmonautiche: la struttura si ripete a blocchi separati, e i personaggi del paesaggio circostante si delineano come figure fisse, che, se hanno uno sviluppo, lo seguono per impercettibili spostamenti. Inoltre, nella narrazione trovano spazio parentesi musicali, in cui s`interrompe il racconto e si assemblano immagini di repertorio commentate da canzoni d`epoca. Una costruzione patchwork simpatica e intrigante, umile e nient`affatto pretenziosa. Che, alla fine, è il miglior pregio e il peggior difetto del film. La regista, infatti, manca totalmente l’obiettivo del discorso socio-politico, che pure parrebbe rientrare nei suoi intenti. La figura di Luciana non si aggancia veramente alla sua epoca, e al tempo stesso non riesce a tramutarsi in discorso universale. Le fantasie sulle conquiste spaziali, che pure devono aver assunto grande significato, psicologico e sociale, negli anni ’50 e ’60, non si legano a una narrazione unitaria di un`epoca e di un paese in cerca di nuovi sogni sui quali crescere e appoggiarsi. Le varie componenti sembrano galleggiare un po` tutte per conto proprio, esattamente come i cosmonauti nello spazio.

E` evidente che l`autrice vuol tenersi lontana da strutture narrative troppo tradizionali, ma al contempo non riesce a trovare, al momento, una sua chiave personale che tenga in piedi tutta la narrazione in modo coerente ai propri obiettivi. Il problema risiede tutto nella scelta narrativa a monte del film: la costruzione per blocchi non si appaia bene al desiderio di raccontare un`epoca. Ne esce così un racconto un po` acerbo, squilibrato, che riserva ai vari personaggi un trattamento molto diverso. Ai ritratti credibili e appena grotteschi dei due “pasionari” di partito (Angelo Orlando e la stessa Nicchiarelli) si affiancano i due genitori (Claudia Pandolfi e, soprattutto, Sergio Rubini) che spesso steccano verso la macchietta impietosa. Non ultima, la narrazione sobria ed equidistante appare, come in molto cinema italiano recente, un mezzo per non scomodare nessuno, per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, per adagiarsi nell`accogliente scelta di non scegliere. E tutto si riduce al solito sorrisetto garbato per le figurine Liebig del passato italiano, al quale, ormai, pare che nessuno al cinema riesca a riservare niente più che una simpatica e consolatoria pacchetta sulla spalla.