Paulette

Il regista Jérôme Enrico propone la variazione francese e working class de L’erba di Grace. Con una grande protagonista, Bernadette Lafont, e la partecipazione di Carmen Maura.

Filmini di famiglia di quelli teneri e amorevoli, di quelli fatti durante tutti i momenti essenziali dell’esistenza, l’acquisto della casa, i primi passi della propria figlia, arrivi, partenze, la giocosità sul proprio luogo di lavoro. Un tempo lontano, i beati anni del boom economico, di un periodo in cui si credeva che tutto sarebbe stato in salita, mai in discesa. Immagini affettuose, delicate, di quelle che tutti custodiscono nella propria videoteca privata e nel proprio intimo. L’anima dei ricordi. Ma d’improvviso i titoli di testa terminano e ci troviamo catapultati in una realtà molto più squallida, casermoni di periferia fatiscenti, grigio ovunque. Una donna anziana vaga nel mercato rionale, guarda ma non compra nulla, poi si avvicina ad un angolo dove ci sono i rifiuti e gli scarti di frutta e verdura. Comincia a curiosare in maniera piuttosto vaga, nel frattempo indossa un paio di occhiali da sole per non farsi riconoscere, prende una pera qua, una mela là, improvvisamente diventa più rude quando si ritrova a tenere in mano contemporaneamente ad un’altra donna quel che sembra un pezzo di verdura. Combatte e vince l’agognata cena giocando sleale: spruzza un insetticida in faccia all’avversaria. È questa Paulette, una donna che non guarda in faccia nessuno pur di ottenere quel che vuole. La nostra protagonista. Ormai vedova da esattamente dieci anni, suo marito è morto proprio il giorno dell’attentato alle Torri Gemelle, la donna si è ingrigita, è inaridita, vive di una misera pensione e non riesce ad arrivare alla fine del mese. Ma Paulette è una donna insopportabile, razzista e crudele, dà la colpa delle sue sventure ai giapponesi che si sono rilevati il suo ristorante e non al marito che ha mandato tutto a rotoli perché alcolizzato, non perdona la figlia che ha sposato un uomo di colore, un poliziotto piuttosto paziente con la vecchia signora, detesta e maltratta il suo unico nipotino di sette anni, dice al prete che la confessa che lui è così una brava persona che “meriterebbe di essere bianco”. Un bel giorno la donna, dopo che le hanno pignorato tutti i mobili, decide di reagire alla sua squallida vita. Come? Semplice … Vendendo erba ed è anche brava. Ma essendo lei una nota pasticciera e cuoca decide di fare ancora più soldi mescolando, letteralmente, le due attività.

Jérome Enrico dirige una commedia all’apparenza convenzionale che vuole essere l’ennesima variazione de L’erba di Grace, dove l’ironia verte sulle caratteristiche di una protagonista ormai matura che non esita a vendere un prodotto generalmente consumato dai più giovani (anche se il film stesso dimostra che non è vero nemmeno questo perché alla sua porta si presentano anche fricchettoni di una certa età). La scrittura del film compie quel gioco-forza che si sviluppa interamente sul carattere arcigno e meschino della sua protagonista, una straordinaria Bernadette Lafont. Ma fra una risata e un’altra, la costruzione di un personaggio tipico della commedia, ovvero strutturato attraverso lo schema della maschera, Enrico vuole riflettere sull’involuzione dei tempi, sulla povertà della classe media, sulla decadenza economica dell’Europa occidentale, che deve adattarsi a vivere di stenti e che deve reinventarsi. Certo, alcuni elementi messi in campo sono di gran lunga superati e appaiono farraginosi: il capetto del quartiere che passa tutta la giornata a giocare ai videogiochi, il capo dei capi che va in limousine e si porta dietro due bionde dell’Europa dell’Est, i toni dell’integrazione sanno di già visto. Come pure l’aspetto corale che danno alla commedia le simpatiche amiche della protagonista (una delle quali con l’Alzheimer), non proprio trovate originali.

Il regista francese coniuga infatti guardando molto alla commedia britannica all women, dove impera la voglia di riscatto – delle donne e in particolare della vecchiaia – pensiamo a Calendar Girls (come L’erba di Grace diretto da Nigel Cole) e ai recenti Marigold Hotel e Quartet, ma in più ci inserisce uno sfondo working class alla Ken Loach. Anche in questo caso la malinconia dei tempi andati, ormai una costante del cinema, della letteratura e delle arti in generale, si coniuga alla presenza forte dei personaggi. Infatti, fra le amiche di Bernadette Lafont c’è anche una grande Carmen Maura (cosa non sanno trasmettere i suoi occhi!), forse sprecata per un ruolo secondario, ma come sempre dimostra la sua eccezionale bravura tornando a lavorare in Francia, stavolta a brevissima distanza da Le donne del 6° piano. Per quanto l’impianto, come dicevamo, non sia dei più originali Enrico tiene in piedi tutta l’impalcatura che si apprezza poi per la semplicità con la quale è stata architettata e la capacità di tenere sempre desta l’attenzione. Anzi si ride, abbastanza bene, e si riflette, discretamente.

ERMINIO FISCHETTI