Poongsan

28/10/11 - In concorso a Roma, il film di Juhn Jaihong costruisce, pur con qualche lungaggine, una potente metafora sul conflitto tra le due Coree.

Dal nostro inviato ALESSANDRO ANIBALLI

Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA al regista:

  • Juhn Jaihong
  • Presentato in concorso alla 6/a edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, Poongsan, secondo lungometraggio del regista coreano Juhn Jaihong è stato in buona parte ignorato dalla stampa, come ormai è diventata pessima abitudine degli accreditati della kermesse capitolina da quando negli anni scorsi venne selezionato qualche film orientale dai risultati forse discutibili (non facendo distinzioni tra differenti cinematografie e senza tenere in conto le differenti origini produttive delle opere in questione). In ogni caso non è giustificata questa sorta di ostracismo verso il cinema asiatico tout court e l’esempio di Poongsan dovrebbe far riflettere: incentrato sul tema del conflitto paradossale del popolo coreano, forzatamente diviso in due stati (Nord Corea e Sud Corea), il film ci ricorda che in quel paese persiste ancora l’idea e la pratica dei blocchi contrapposti. Un estremo retaggio della Guerra Fredda che equivale a immaginare in Europa una Germania ancora divisa in due e con tuttora in piedi il Muro di Berlino. Scritto e prodotto da Kim Ki-duk, Poongsan si muove perciò intorno a questo anacronismo storico che, da almeno sessant’anni, è sempre sul punto di esplodere in una guerra fratricida. Tema forte per un protagonista ancora più potente: un eroe senza nome capace di oltrepassare in un batter d’occhio e senza conseguenze la frontiera ancora sorvegliata dai militari dell’una e dell’altra fazione. Una sorta di semidio, di “immortale” – suggerisce il regista – sceso al rango dei mortali (e dunque vulnerabile) nel momento in cui si innamorerà di una donna che, solo grazie a lui, è riuscita a sconfinare dal Nord al Sud.

    Girato con uno stile estramamente low-budget, al contrario di quanto avviene normalmente nella produzione media del cinema coreano, Poongsan ha un impianto simbolico perfetto: l’idea dell’uomo senza nome, anarchico per sua natura, capace di comprendere istintivamente l’assurdo di un’unica Patria divisa in due e tanto nichilista da provocare un finale duello demenzial-autodistruttivo tra i rappresentanti della Legge dei due opposti schieramenti. Ma, nonostante ciò, non si può non rilevare una qualche incertezza registica che passa sia per alcune lungaggini che per l’eccessiva staticità della camera digitale. In particolare, la staticità – più che figlia dello stile ieratico del maestro di Juhn Jaihong e cioè Kim Ki-duk – sembra effettivamente la conseguenza di uno stile di regia ancora acerbo. Rimane comunque la potenza di un discorso fortemente politico e l’efficacia complessiva dell’opera che riesce a coinvolgere anche saltando abilmente da un genere all’altro: dal melò estremo alla comicità demenziale.