Sguardi sonori

01/04/09 - Su Clint Eastwood ormai non si può più discutere: se ne esce ogni anno, se non...

Sguardi sonori – Gran Torino

(Rubrica a cura di Emanuele Rauco)

sguardi-sonori-interno.jpg01/04/09 – Su Clint Eastwood ormai non si può più discutere: se ne esce ogni anno, se non ogni sei mesi, con una perla, un grande film, se non un capolavoro. Definizione alla quale è piuttosto vicino il suo ultimo film, Gran Torino. Quello che non si sa molto del vecchio Clint è delle sue doti di musicista, pianista soprattutto, e compositore di colonne sonore sue, ma non solo, come nel caso di Gone Baby Gone, l`esordio alla regia di Ben Affleck. Il suo talento e amore per il piano, blues e jazz in particolare, l`ha trasmesso anche al figlio Kyle che, assieme a Michael Stevens, ha composto la soundtrack dell`ultimo film del padre: un lavoro in linea con le atmosfere dei film precedenti, ma anche capace di creare un`atmosfera speculare, di seguire le libertà  narrative che l`autore si è concesso nella realizzazione del film.
Eastwood jr basa gran parte della sua partitura proprio sul piano, con un`estrema semplicità , formando quasi tutti i movimenti sulla melodia principale, seguendo – anche nell`utilizzo del tamburo – le suggestioni e la struttura di Letters From Iwo Jima (degli stessi due autori), accompagnando le armonie e le poche pennellate melodiche con tocchi orchestrali, comunque da camera.

Dopo una brevissima ouverture, la partitura segue le brevi tracce, che illustrano con la sobrietà  e il tenue classicismo che bene si addice alla poetica del regista, dà  sostegno, persino ironico, alle situazioni e ai personaggi, e come un puzzle si costruisce pezzo per pezzo, fino a diventare un cantato e poi la canzone che dal film prende il titolo, un bellissimo tocco malinconico cantato da Don Runner e Jamie Cullum. Il duo Eastwood jr.-Stevens si rivela, ancora una volta, interprete perfetto di una poetica, di una sensibilità , di una distillazione di emozioni e riflessioni mai patetiche o sfacciate, ma semplici e dirette: proprio come il sottile jazz che veleggia tra le pieghe del cinema di uno dei maggiori autori contemporanei.