Sguardi Sonori

20/01/10 - Parlando di quello che è il più grosso evento cinematografico dell’anno, del decennio e...

Sguardi sonori – Avatar
Io ti vedo. E ti sento.

(Rubrica a cura di Emanuele Rauco)

sguardi-sonori-interno.jpg20/01/10 – Parlando di quello che è il più grosso evento cinematografico dell’anno, del decennio e forse anche un po’ di più, non si può non valutarne ogni componente, perché – se sono vere le molte teorie sull’argomento – il cinema americano basa la sua riuscita sul perfetto ingranaggio di ogni sua componente. Nel caso di James Cameron poi, e della fertile collaborazione col compositore James Horner (che portò alla splendida partitura di “Titanic”, premiata ovunque), parlare della colonna sonora del film sembra un atto dovuto. Perché proprio come una filiazione dell’opera totale cara a Wagner, il cinema di Cameron e in particolar modo “Avatar” Non può fare a meno dell’elemento significativo della musica, come accompagnamento in senso classico, certo, ma anche – se non soprattutto – nel creare il mondo di Pandora, nello stabilire nessi tra le immagini e il gioco sensorio che il film esplicita fin dal ricorso alla tecnologia del 3d; e allora Horner mette in gioco la sua acuta capacità sinfonica e – come per la sceneggiatura – si diverte a costruire la sua partitura su rimandi, suggestioni e situazioni prese in prestito che diventano poi un corpus unico.

Dalle musiche tribali e native (Becoming One of the People, Becoming One with Neytiri oppure Quaritch) all’orgia di fiati e percussioni delle scene avventurose (War – ovviamente – ma anche Scorched Earth), dai tocchi new age (The Bioluminescenze of the Night) fino alle arie più ampie come Jake’s First Flight, Horner costruisce uno score sontuoso, ricchissimo, dominato come al solito dai cori e dalle armonie a lui care (Gathering all the Na’vi Clans for Battle soprattutto), ma bisogna dire che se riesce a fare da porta sonora al mondo di Cameron, fa più fatica a fare da guida, lasciando l’originalità e l’ispirazione melodica un po’ troppo in disparte. Ciò non toglie che quella di Horner sia una partitura poderosa, anche se fin troppo semplice e d’impatto, che non riesce sostanzialmente dove riusciva “Titanic”, cioè a configurare un mondo e un’emotività che traboccassero anche fuori dai confini dello schermo; e per un film che si fonda su immagini letteralmente incontenibili è un po’ un paradosso.