Solo per vendetta

25/08/11 - Nicolas Cage è protagonista di un thriller intrigante a cui il regista Roger Donaldson non riesce a dare il giusto spessore.

Un film con Nicolas Cage, oltre che un appuntamento fisso ogni 3-4 mesi, è più una categoria dello spirito che un’indicazione cinematografica, un segnale forte di un cinema dalle parti della serie B in cui l’attore può sguazzare in tranquillità. E’ così anche per Solo per vendetta, nuovo film di Roger Donaldson (Senza via di scampo, Thirteen Days) che sul “carisma dell’attore” è tutto centrato. Cage interpreta Will Gerard, un insegnante di lettere che dopo lo stupro della moglie cede alle lusinghe del misterioso Simon: farà fuori lo stupratore in cambio di qualche favore. Ma questo scambio lo metterà in situazioni sempre più pericolose. Thriller cospirativo fatto di suspense e azione, scritto da Robert Tannen e Yuri Zeltser con l’ambizione di riflettere sul limite tra vendetta e ricerca della giustizia (come dice il titolo originale Seeking Justice), tra psicologia della violenza e violenza psicologica.

Il tema non è affatto originale, ma il film cerca di declinarlo in chiave vagamente hitchcokiana, mettendo il personaggio principale all’interno di un congegno, di una cospirazione che rischia di stritolarlo in modo implacabile, sottolineando così la gabbia che ogni violenza crea all’essere umano; Donaldson è abile, soprattutto nella prima parte del film, a creare l’empatia e l’immedesimazione col pubblico e dimostra, come già fatto nei suoi film migliori, di saperci fare con tensione e costruzione. Poi arriva la sceneggiatura che non sa reggere la portata dei colpi di scena e dei risvolti, lasciandosi andare a facili psicologie, ma anche il regista, con quegli orribili zoom computerizzati da telefilm di terz’ordine non è al massimo della forma. E poi c’è Cage, che più che un viso ha un grugno inamovibile, e occupa tutto il film lasciando poco spazio a comprimari, pure pregevoli, come January Jones o Harold Perrineau. D’altronde, è un film di Nicolas Cage, di che lamentarsi?

EMANUELE RAUCO

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