Speciale Venezia – 5° giorno

01/09/08 - Dopo à–zpetek, in Concorso è stata la volta di Pupi Avati, con il Papà di Giovanna. E va detto...

Speciale Venezia 65 – Quinto giorno

(Dal nostro inviato Alessandro Aniballi)

01/09/08 – Dopo à–zpetek, in Concorso è stata la volta di Pupi Avati, con il Papà di Giovanna. E va detto che, rispetto a Un giorno perfetto, l`ultima fatica del regista emiliano convince abbastanza. Non siamo ai livelli de Il nascondiglio, con il quale Avati era tornato al genere che sa frequentare meglio e al quale, purtroppo, è restio a concedersi (l`horror), tuttavia il Papà di Giovanna riesce a presentare un conflitto familiare inusuale, che – volendo – ha anche dei tratti di “orrore”. Sbrigato un inizio difficoltoso, il plot si snoda con sicurezza, in un arco che va dal 1938 al ’53 (persino le ultime ellissi ci sembra che funzionino, a parte un certo bozzettismo nel mostrarci il momento della Liberazione dai nazi-repubblichini). Il trio dei personaggi principali, poi, è il migliore che Avati sia riuscito a concepire da diversi (se non parecchi) anni a questa parte: il “zelante papà ” Silvio Orlando su tutti, naturalmente, con la “figlia degenere” Rohrwacher e la “mamma svogliata” Francesca Neri subito a seguire. Se infine si riesce anche a fare il callo alla consueta pianezza di messa in scena, allora ci si può dire davvero soddisfatti, tenuto conto, tra le altre cose, che Avati è riuscito addirittura nel miracolo di far diventare attore Ezio Greggio.
Ma per molti aficionados lidensi, il 31 è stato soprattutto il giorno di Miyazaki, in Concorso con il suo Ponyo on the Cliff by the Sea. Storia dolcemente bambinesca, con la consueta finezza nel tratteggiare i personaggi e con una irrefrenabile visionareità (bellissimi i titoli di testa), il film del regista giapponese è un racconto tra terra e mare molto poetico e amorevole. Lasciano un po` dubbiosi, però, alcuni passaggi della sceneggiatura, in particolare per quel riguarda il ruolo dei genitori di Ponyo (sopratttutto il padre, i cui obiettivi all`interno della storia risultano contraddittori). E poi, permetteteci anche di esprimere un briciolo di nostalgia per i molteplici antropomorfismi de La città incantata e de Il castello errante di Howl (qui, oltre all`indimenticabile Ponyo che quasi “fagocita” tutta la fantasia, ci sono solo delle meravigliose onde mugugnanti).

Vegas: Based on a True Story, terzo film in Concorso della giornata, invece è l`abituale sfoggio di ricercatezze teoriche (e di ben poco appagamento visivo) del regista iraniano trapiantato in America, Amir Naderi. Stavolta veniamo calati nei detriti urbani di Las Vegas, facciata luccicante e crudele costruita sul denaro e sul deserto. Da qui Naderi ci propina il suo apologo morale sull`inevitabile sgretolamento familiare in una società come quella statunitense (in cui Las Vegas è cartina di tornasole di un intero Paese) che vive nel contrasto insanabile tra l`orgoglio dello spazio privato (il villino unifamiliare) e il disinteresse totale per lo spazio pubblico (l`urbanizzazione folle della città dei “casinos”); nel mezzo, l`unica ragione di esistere è fare soldi. Tutto molto interessante, ma decisamente troppo teorico e persino scontato, visto che il discorso del regista si capisce nel giro di pochi minuti, per poi non procedere più. A ciò va aggiunto un manchevole ritorno sia figurativo (un digitale low budget davvero brutto) che narrativo (la storia rimane sospesa sulla ricerca del bottino per cinquanta minuti buoni, lavorando esclusivamente sull`accumulo distruttivo; l`Antonioni del finale di Zabriskie Point e gli Edwards-Sellers di Hollywood Party avevano saputo “distruggere” molto meglio). Infine, sarà anche una questione di gusti, però non abbiamo sopportato le piccole gag di cui è tempestato il film, in cerca continua della complicità spettatoriale.

In un festival grande come la Mostra di Venezia, si ha sempre paura che, vedendo un film, se ne stia perdendo un`altro molto più bello nella sala accanto: un continuo desiderio verso l`impossibile a vedersi, che a volte si cerca (invano) di soddisfare, forzando orari e programmazioni. Ci è accaduto così di correre per riuscire a vedere Two Lines di Selim Evci, film turco selezionato nella Settimana della Critica, non per un qualche motivo preciso, bensì solo per accumulare un`altra visione, per placare l`insopprimibile fame di immagini. àˆ andata male, perchè Two Lines accoppia un imbarazzante pauperismo visivo, con un montaggio decisamente estemporaneo per mostrarci scenette in libertà tra un uomo e una donna. Dunque, si esce dalla sala annichiliti, si nota che il cielo è già diventato buio, si indovinano delle nuvole minacciose sopra la nostra testa e si rimpiange ciò che è andato perduto.