Speciale Venezia – 2° giorno

29/08/08 - Arrivati al secondo giorno di Venezia 65, ci è già venuta a noia la nuova sigla del festival...

Speciale Venezia 65

(Dal nostro inviato Alessandro Aniballi)

takeshikitano1.jpg29/08/08 – Arrivati al secondo giorno di Venezia 65, ci è già venuta a noia la nuova sigla del festival. Ideato da Ermanno Olmi, Leone d`Oro alla carriera di quest`edizione, il filmato è una svogliata parafrasi de L`arrosseur arrosè dei fratelli Lumière. Si vede che è il festival delle piccole delusioni. Pensiamo in parte anche al cortometraggio di Jia Zhang-Ke, Cry Me a River (Fuori Concorso), racconto minimalista sulle speranze disattese di ragazzi ritrovatisi adulti senza troppa convinzione. Una mini-storia ben scritta e scorrevole, ma sviluppata in modo canonico, il che è inusuale per un cineasta come Jia. Certo – va da sè – che, come sempre, siamo al cospetto di una regia eccellente, grazie anche al digitale ad alta definizione, con il quale Jia riesce a modellare una luminosità straordinaria e dei colori tanto definiti che è come se li vedessimo per la prima volta. Dopo Jerichow, arriva un altro brutto film in Concorso. àˆ Inju, la bàªte dans l`ombre di Barbet Schroeder, tratto da una storia di Edogawa Rampo, l`Edgar Allan Poe del Sol Levante: in Giappone uno scrittore francese (Magimel) si ritrova coinvolto in omicidi annunciati, bondage sfilacciato, geishe insinuanti, yakuza obesi e timido voyeurismo. Alle prese con un materiale del genere, difatti, Schroeder mostra scarso coraggio (che invece hanno molti suoi colleghi giapponesi) e finisce per mettere in scena un bignami grottescamente prevedibile. Sorprende in più il fallimento recitativo di Benoà®t Magimel, altrove straordinario interprete (Quello che gli uomini non dicono e L`innocenza del peccato, per citare due suoi film abbastanza recenti).

Va a finire che l`unico titolo buono del Concorso finora è firmato nientemeno che da Takeshi Kitano, da diversi anni perso in una crisi d`ispirazione apparentemente senza fondo, a proposito della quale ci aveva reso partecipi con ermetica profusione (Takeshis` e Glory to the Filmmaker!). Stavolta, invece, rispetto ai deliri autoreferenziali del recente passato, il suo nuovo film, Achilles and the Tortoise, si compone di una scrittura convenzionale (che nella prima metà della pellicola pare addirittura eccessiva). Dopodichè, adottato un tema unico e chiaritolo a se stesso e al pubblico, Kitano riesce ad esplorarlo fino ai limiti estremi. Così si arriva all`ultima mezzora in cui si rivede con piacere la vena visionaria (ma comprensibile) che avevamo imparato a conoscere in questo autore. Quasi come il pittore protagonista che prova tutti gli stili e le tecniche esistenti fino all`annullamento di sè, il regista giapponese, passata la temperie “sperimentale”, si è ritrovato solo sposando un ideale di classicità , forse l`unica chance che gli era rimasta. Con ciò Kitano riesce finalmente a comunicarci il dilemma proteiforme che lo assilla da tempo: lo scarto sempre incolmabile tra il regista e il suo pubblico, tra i desideri e le attese, tra la presunzione di conoscere e la limitatezza dell`essere, tra la regressione autistica e l`apertura al mondo, tra l`Io e l`Altro, tra Achille e la tartaruga. Ben altro genere di riflessioni invece ci sono state suggerite da un altro film giapponese, quel Monster X Strikes Back: Attack the G8 Summit! di Minoru Kawasaki (Fuori Concorso) che è una satira demenziale e senza freni nei confronti dei potenti della Terra. Girato con effetti speciali dal gusto vintage e retto da innumerevoli gag, il film di Kawasaki è un ottimo esempio di quello spirito anarchico che è parte integrante di certo cinema giapponese e che invece è così raro da noi.