The burning plain

29/08/08 - Finora il più applaudito tra i film in concorso, non riesce tuttavia a convincere...

Speciale Venezia 65

(Dalla nostra inviata Caterina Gangemi)

29/08/08 – Finora il più applaudito tra i film in concorso, non riesce tuttavia a convincere del tutto “The burning plain”, esordio alla regia di Guillermo Arriaga, già (ottimo) sceneggiatore per Tommy Lee Jones in “Le tra sepolture”, e abituale collaboratore di Inarritu (“Amores perros”, “21 grammi”, “Babel”).

Fedele alla consolidata attitudine alla destrutturazione narrativa, Arriaga, come di consueto, intreccia storie di solitudine, dolore, e tormenti interiori, con, ancora una volta, un fato beffardo a fare da collante all`interno di un disarticolato “continuum” spazio-temporale, che unisce i destini di tre donne appartenenti ad altrettante diverse generazioni. Una complessità narrativa che, tuttavia, non è in grado di costituire un ostacolo così insormontabile, ponendosi al contrario come principale elemento di originalità di una storia altrimenti comune a mille altre, ed essendo piuttosto superata in fastidio dalla fuorviante trascuratezza di una messa in scena non sempre in grado di rendere la principale ellissi temporale, probabile conseguenza della vocazione alla scrittura, più che all`immagine, del regista. Non che manchino, però, gli spunti visivi degni di nota, riscontrabili soprattutto nelle riprese ampie e ariose degli straordinari, desertici paesaggi dell`America centro-meridionale, in contrasto con la fredda mestizia degli interni piccolo-borghesi in cui vivono i protagonisti. Un paesaggio, che ancora una volta, Arriaga sceglie come terra di frontiera, quella tra Stati Uniti e Messico, luogo di espiazione, ideale per accogliere individui in fuga: da sè stessi, dal proprio passato, o da una triste routine quotidiana. E risulta perciò pleonastico il ricorso ad elementi ricorrenti come le cicatrici sui corpi delle protagoniste, ormai usurata metafora di conflitti irrisolti, e il fuoco “purificatore”, capace di cancellare il peccato e rigenerare dolore, laddove uno sguardo complessivamente più lucido e distaccato avrebbe invece smorzato le tentazioni da melodramma. Non un capolavoro, ma un film comunque piacevole, sorretto da una notevole prova attoriale delle “dive” Charlize Theron e Kim Basinger, sfinita l`una, sfiorita l`altra, ormai totalmente svincolate da qualsivoglia pregiudizio estetico, e dell`intenso Joaquim de Almeida.