The Exchange

08/09/11 - Autore de La banda, Eran Kolirin torna con un film straniante e molto cerebrale. In selezione ufficiale a Venezia 68.

Dalla nostra inviata DARIA POMPONIO

Dopo il successo internazionale de La banda, il regista israeliano Eran Kolirin realizza con The Exchange (Lo scambio) la sua opera seconda, presentata in concorso a Venezia 68. Un piccolo cambiamento all’interno della routine quotidiana può generare effetti imprevedibili sulla mente dell’essere umano. È quello che si ritrova ad esperire Oded (Rotem Keinan), studioso di fisica e ricercatore presso l’università di Tel Aviv, quando casualmente torna a casa sua in un orario insolito. A contatto con la variabile dell’imprevisto, la realtà oggettiva si dissolve improvvisamente, i rapporti di causa ed effetto perdono la loro naturale concatenazione, luoghi e personaggi familiari diventano repentinamente degli estranei. Compresa la moglie.

Apologo di stampo postmoderno sullo spaesamento e la perdita dell’identità, The Exchange è una pellicola rarefatta e straniante, oltre a costituire un saggio cinematografico sospeso tra fisica quantistica e filosofia. A sorpresa, quando la realtà del protagonista perde la sua cogenza e si apre un abisso di universi paralleli, il nostro Odan, anziché ricercare una nuova identità, nuota sereno nel magma dell’indefinitezza, una nuova condizione che trova assai confortevole. Il suo rifugio prediletto diventa dunque un asettico bunker, sito nelle fondamenta del proprio lussuoso condominio, dove scoprirà che non è solo. Impossibile non subodorare un sottotesto sociopolitico per questo film stilisticamente assai rigoroso e mai ruffiano. L’irriverenza verso i condomini diventa infatti per Odan un gesto necessario e liberatorio, ma costituisce anche un’incisiva metafora dell’asfittico isolamento in cui vive l’alta borghesia israeliana. Kolirin prende dunque le distanze dallo sguardo umanistico che caratterizzava il suo precedente lungometraggio e ci regala, con The Exchange, una pellicola fatta di dettagli e atmosfere, capace di cogliere lo status pulviscolare dell’uomo contemporaneo, di dargli forma, sostanza e incisività politica. Un film coraggioso, che non cerca il favore del pubblico, bensì la sua complicità e richiede a viva voce una partecipazione puramente cerebrale.