Act of Valor

28/03/12 - Iperreale resoconto delle missioni eroiche dei Navy Seals, interpretati da veri soldati, deprivati però di opportuno sviluppo narrativo.

Autenticità e presa diretta non equivalgono affatto al realismo, ce lo dice ogni giorno una TV sempre più trita e triviale (quella dei reality show), lo conferma la presunzione di verità di notiziari talvolta anche apertamente faziosi, mentre al cinema a partire dal genere horror che l’ha sdoganata con The Blair Witch Project prima e con videotape di statiche attività paranormali poi (Paranormal Activity e relativi seguiti), il gioco è già da un pezzo un cliché. È venuto ora il momento di iniettare un po’ di empirismo nel genere bellico, facendo leva magari sul fatto ineludibile che il soldato è per professione esposto alla realtà nuda e cruda della morte, e dunque consapevole del peso effimero della vita. Affronta lo spinoso argomento Act of Valor, docu-drama di guerra interpretato da un pugno di veri Navy Seals (le forze speciali della marina americana), qui impegnati a salvare la popolazione americana da minacce terroristiche esterne pronte a manifestarsi nel cuore del paese. Mosso da “onore, libertà, giustizia e famiglia”, un manipolo di uomini si ritrova infatti in Costa Rica per recuperare un’agente della CIA catturata da malfattori locali, ma si scopre impelagato in un intrigo internazionale ordito da due terroristi ceceni, il cui obiettivo è far detonare dei kamikaze a Las Vegas, nel cuore del capitalismo più sfarzoso. Armati di videocamere sugli elmetti, i supersoldati protagonisti, sotto la guida esperta dei due registi ex-stuntman Mike McCoy e Scott Waugh, sono pronti a lanciarsi in ogni tipo di missione: aerea, anfibia e subacquea.

Della dualità tra realtà e finzione Act of Valor non propone però alcuna speculazione teorica, la presunzione di autenticità è qui tutta ad uso e consumo di un lungometraggio-spot dell’esercito, utile solo alla propaganda pro-arruolamento. I quattro valori centrali prima esposti e citati all’apertura del film, restano baluardi ineludibili per i protagonisti e pesante zavorra per un film che non decolla proprio perché evita ogni ambiguità. Ne consegue che i Navy Seals sullo schermo restano tali, non sono né attori né tantomeno personaggi e il dramma ne soffre, tutto incentrato com’è su un sacrificio largamente annunciato (l’atto di valore del titolo) che senza aver prima sviluppato né sentimenti né meccanismi di identificazione risulta freddo e dunque, ai fini di un coinvolgimento narrativo, inane. La sceneggiatura, opera dell’autore di 300 Kurt Johnstad, non offre sviluppi, parte da una descrizione icastica in stile “mulino bianco” della vita dei protagonisti da civili (pic-nic sulla spiaggia, surf coi commilitoni, un falò per riscaldare gli animi prima della partenza), per procedere poi a mostrarci le loro missioni.

Il salvataggio dell’ostaggio in Costa Rica è però di sicuro impatto. L’azione è ben coreografata e fa bella mostra di sé anche un’eloquente metafora del ragno che sbrana una falena caduta nella sua tela. Ma le missioni successive non sono altrettanto convincenti e il film sembra procedere per accumulo, appesantito da eroi bidimensionali e villain che non sono da meno: rigorosamente barbuti, preferibilmente islamici (l’uno, l’altro però per par condicio è di religione ebraica), magari anche sfregiati. Assente anche lo spirito di corpo, dato troppo per scontato, al punto che il sacrificio per salvare gli altri commilitoni manca paradossalmente dell’enfasi rischiesta e resta dunque un dovere, semplicemente assolto, al pari degli altri. Quello di Act of Valor è un iperrealismo raggelante che non fa paura, dimentica consapevolmente che i soldati rischiano la vita e che la guerra è una cosa sbagliata, non una bella strategia senza smagliature e dalla quale si esce indenni a meno che non si scelga di sacrificarsi. L’ossessivo ricorrere alle riprese in soggettiva e a una camera a mano che dovrebbe farci sentire al centro della battaglia, ci lascia poi con il dubbio che forse, quei tanto vituperati videogame che simulano situazioni di guerra sono preferibili a un film che mostra la guerra come un videogame.

DARIA POMPONIO

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