Cous Cous

07/01/08 - Slimane è un immigrato magrebino che lavora da una vita nei cantieri navali di Sète, vicino Marsiglia...

Il gusto e la sensualità della vita secondo i francesi di origine araba.

graine-mulet.jpg07/01/08 – Slimane è un immigrato magrebino che lavora da una vita nei cantieri navali di Sète, vicino Marsiglia. Superata la soglia della sessantina, però, l`operaio rischia il licenziamento e rimane atterrito davanti alla prospettiva di non poter lasciare nulla di concreto ai numerosi membri della sua famiglia allargata. Slimane, allora, decide di reagire, tentando di realizzare un`impresa tutta sua: un ristorante a conduzione familiare, specializzato in cous cous di pesce. Intorno a questo sogno cominceranno a stringersi parenti e amici, uniti per combattere lo scetticismo della società e per cambiare il posto ingrato assegnato dal destino a un uomo coraggioso e onesto come l`operaio magrebino. La storia di Slimane, sicuramente, evoca con forza i problemi dell`immigrazione e della marginalità socio- economica di molti “francesi con origini arabe”, come il regista Abdellatif Kechiche ama definire la comunità descritta nel suo film. Cous cous, tuttavia, non concede nessuno spazio alla retorica. Si tratta di un`opera delicata e discreta, volta prima di tutto a raccontare una famiglia e la sua abituale quotidianità . Nonostante la trama sia di pura invenzione, infatti, molti personaggi sono ispirati all`esperienza biografica del regista. L`amore di Kechiche per queste figure, la familiarità e l`estremo rispetto con cui le tratta, trasudano da ogni inquadratura del film. La vicinanza non è solo affettiva, bensì fisica e palpabile. Sin dall`inizio, infatti, Cous cous abbonda di primi e primissimi piani che s`incollano ai corpi dei personaggi, scrutando la bellezza e, a volte, persino la sensualità dei gesti di tutti i giorni. A metà del film, ad esempio, c`è una sequenza conviviale – destinata a diventare famosa – in cui la prima famiglia di Slimane è ritratta durante un tipico pranzo domenicale.

In queste scene Kechiche fa raggiungere ai suoi attori una naturalezza unica, più vera della realtà . Dita che affondano nel cous cous, bocche piene, risate spontanee, giochi di sguardi e di mani: nessuno dei particolari del pasto è tralasciato, da quello più invitane a quello meno gustoso. La fisicità e il forte senso di concretezza permeano l`intera pellicola, fino a esplodere in un finale che costituisce una vera maratona visiva e sensoriale. Il tutto sempre condito dal cous cous. Questo piatto dal nome esotico, naturalmente, non è un mero “contorno”. Rappresenta, piuttosto, il concentrato di una cultura e di un`identità . La sua presenza, prima evocata con assiduità e poi sottratto dalle circostanze avverse, riassume con grande efficacia il senso di privazione veicolato dal film. Pur non essendo propriamente un`opera di denuncia, infatti, la pellicola di Kechiche è percorsa da un costante senso di amarezza. Sembra, in fin dei conti, la fotografia di una vita dignitosa, a cui, tuttavia, un non meglio specificato “destino” ha negato alcune di quelle piccole cose che rendono un`esistenza definitivamente completa, come, ad esempio, il riconoscimento di decenni di lavoro. Cous cous, d`altra parte, non è nè un film politico nè un drammone strappalacrime. Sembra piuttosto il ritratto di una famiglia e dei suoi problemi: un tentativo – decisamente ben riuscito – di catturare la vita con tutta la sua bellezza, le sue pene, le sue contraddizioni e i suoi interrogativi irrisolti.

(LAURA CROCE)