Far East, settimo giorno

02/05/09 - Dobbiamo ammetterlo: abbiamo delle grosse difficoltà  a familiarizzare con l`ultimo cinema...

(Dal nostro inviato Alessandro Aniballi)

far-east-film-festival02/05/09 – Dobbiamo ammetterlo: abbiamo delle grosse difficoltà  a familiarizzare con l`ultimo cinema coreano, quello che si è formato in seguito al rilancio produttivo dei primi anni del Duemila e che ora, con la crisi economica, pare di nuovo in declino. àˆ una sensazione che non possiamo che riconfermare anche alla luce dei due titoli presentati ieri qui al Far East: “Crush and Blush” di Lee Kyoung-mi e “The Good, the Bad and the Weird” di Kim Ji-woon. In generale, al di là  di una confezione sempre eccellente, si ha l`impressione che questo cinema, manchi sovente di “necessitࠔ. Non parliamo degli autori più acclamati (Kim Ki-duk e Park Chan-wook, ad esempio, che pure stanno attraversando una fase difficile della loro carriera), ma in particolare di una buona fetta di quello che viene definito il cinema medio. Ci sono delle eccezioni – è chiaro – è un esempio ne è “The Guard Post”, forse il miglior film della scorsa edizione del Far East, eppure nel complesso ci pare che quella cinematografia abbia sovente difficoltà  a raccontare l`umano, privilegiando piuttosto la superficie. Resta ignorato, oramai quasi sullo sfondo, l`insegnamento del grande maestro, quel Im Kwon-Taek i cui ultimi due film sono stati presentati a Venezia: Low Life (2004) e “A Thousand Cranes” (2007).

“Crush and Blush”, scritto per l`appunto da Park Chan-wook, ha un soggetto decisamente bizzarro che mostra la corda nel giro di un quarto d`ora: un`insegnante “sfigata”, innamorata di un suo collega sposato e fedifrago, si allea con la figlia dell`uomo per metterlo in difficoltà  nelle sue relazioni sentimentali! In breve la pellicola trasmette un oppressivo – e involontario – senso di claustrofobia: quasi sempre girato in interni e continuamente addosso ai personaggi che non fanno altro che strillare, urlare e autoflagellarsi, “Crush and Blush” dà  l`idea di essere un inutile sfogo onanistico, in cui forse non è richiesta la presenza dello spettatore.

La rabbia e il fastidio non sono sbolliti – tutt`altro – di fronte a “The Good, the Bad and the Weird”, il secondo film coreano della giornata. Come si evince già  dal titolo, il quinto lungometraggio di Kim Ji-woon è un dichiarato omaggio al cinema di Sergio Leone. Ma anche qui ben presto si fatica a comprendere il senso dell`operazione: di Sergio Leone vengono ripresi gli aspetti più esteriori come i dettagli dei volti e degli occhi e come la colonna sonora (che tra l`altro viene subito impastata con sonorità  aliene a quelle morriconiane e dunque risulta immediatamente kitsch). In tutto questo però ci si dimentica di provare a raccogliere la verà  eredità  del cineasta italiano: il senso dell`epica, l`ironia supportata dalle leggendarie battute lapidarie dei suoi personaggi e la scientifica costruzione del ritmo e dell`attesa all`interno delle singole sequenze. Perciò bastano i primi quindici minuti, in cui i personaggi neppure vengono presentati e in cui si assiste a una interminabile sparatoria sul treno girata senza cognizione di causa, per essere già  stanchi di questa visione.

In prima serata invece è stato il momento di “The Equation of Love and Death”, ultimo film della giovane promessa del cinema cinese Cao Baoming. Forse si è assistito alla pellicola più crudele di questo festival, per la descrizione di una Cina contemporanea in cui i rapporti sociali si reggono solamente sul denaro e in cui l`amore (o meglio la lontananza della persona amata) diventa un`ossessione folle, unica possibile via per mantenere un legame con la società . Cao sa costruire un discorso stratificato, mettendo in scena la condizione da drop-out di due personaggi provenienti dalla campagna (uno dei maggiori problemi sociali delle città  cinesi di oggi) e facendo riferimento velatamente – e solo nel finale – al dramma di tutta una generazione cresciuta e educata secondo la politica del figlio unico: lo scoglio dell`esame per passare all`università . Si tratta di un esame difficilissimo che molti non riescono a superare, finendo per condurre una “vita mediocre” (sono le ultime parole della protagonista del film); questo quando invece non si sceglie di lasciarsi morire. E non è un caso che in “The Equation of Love and Death” ci siano ben due suicidi e non per motivi amorosi. L`unico dubbio allora viene dal complesso della costruzione narrativa che, se appare quasi geniale in tutta la prima parte, va poi man mano “incagliandosi”, dando più volte l`impressione che la parabola del film si sia conclusa troppo presto.

Ha chiuso la giornata un folle titolo giapponese “Lalapipo – A Lot of People” di Masayuki Miyano, pasticcio demenzial-pop su una serie di personaggi repressi e/o sfruttati, completamente privo di un qualsivoglia filo logico e alla lunga decisamente fastidioso, con una ripetizione ossessiva di trovate appena appena estemporanee.