Lo scafandro e la farfalla

25/01/08 - Lo scafandro è il corpo, la farfalla la fantasia e la memoria del signor Bauby, che dopo...

scaphandre_papillon.jpg25/01/08 – Lo scafandro è il corpo, la farfalla la fantasia e la memoria del signor Bauby, che dopo tre settimane di coma ritorna alla veglia imprigionato da una “locked in sindrome” dentro un involucro inerte. L`unica parte del corpo che ancora risponde ai comandi è l`occhio sinistro, organo attraverso il quale per due anni il protagonista vivrà una vita intensa segnata dalla sofferenza ma anche capace di conoscere ancora gioia e stupore, e di depositare in un libro il diario intimo della sua esperienza. La storia è vera e così pure il libro, uscito più di dieci anni fa, testimonianza diretta dell`ex direttore della rivista francese Elle, morto di polmonite nel 1997 dopo più di due anni di totale immobilità . Schnabel, il regista pittore giunto al terzo lungometraggio di finzione, sceglie un inizio duro e crudo. La voce del protagonista si agita nella sua mente senza che “lo scafandro” gli consenta di uscire, lo sguardo, ridotto a metà del campo visivo, è incerto, agitato opaco e completamente passivo. Una soggettiva bella e terribile è tutto quello che per i lunghi minuti della partenza del film il regista concede allo spettatore. Ma poi la prospettiva si apre e muta il punto di vista. Altri personaggi iniziano ad avere il beneficio di portare lo sguardo sulle cose e un`oggettiva un po` troppo desiderosa di fare del signor Bauby l`ennesimo eroe romantico batte e ribatte sulla sagoma di Amarlic (attore dalle enormi risorse ma che qui forse delude un po`) steso sulla sedia. Partono le “escursioni della mente” che Bauby racconta come luoghi di salvezza e di fuga dalla follia e dalla resa; inevitabile forse ricordare in questi momenti il non più recente Mare dentro che qualche anno fa mostrava i voli della fantasia d`un uomo immobilizzato solo a metà (la parte inferiore del corpo) durante le sue ore di solitudine, alle quali il protagonista decideva di porre fine con una morte programmata. Il film di Schnabel perde dunque un po` della forza e dell`universale necessità del suo racconto indulgendo ad una concezione romantica e letteraria, ma riesce anche a raccontare l`angoscia della solitudine alla quale oggi malattia e morte troppo spesso condannano. E seppure in modo parziale, insufficiente e forse privo d`un drastico coraggio, Schanbel dice la poesia del mondo percepita dall`occhio che conosce e accetta il proprio limite, fino a farne risorsa di senso.

(SILVIO GRASSELLI)