Ok, Enough, Goodbye

01/12/11 - Rania Attieh e Daniel Garcia portano a Torino la storia di un bamboccione libanese, girata in maniera rigorosa ed intelligente.

Dalla nostra inviata LIA COLUCCI

Quella dei bamboccioni non sembra essere una situazione solo italiana, anzi in Libano, dove i legami familiari sono particolarmente sentiti, può capitare che un quarantenne abiti ancora con la madre, tentando di vivere con lei quelle esperienze che generalmente si fanno con la propria moglie o compagna. Insomma tanti piccoli gesti della vita quotidiana piuttosto anomali per l’età di entrambi, che potrebbero con facilità tirare in ballo Freud. Ma i due registi e sceneggiatori Rania Attieh e Daniel Garcia si pongono il curioso interrogativo nel film Ok, Enough Goodbye di cosa potrebbe succedere a Michel (Daniel Arzrouni) se la madre improvvisamente scomparisse dalla sua vita. Le scene iniziali hanno il tocco del documentario quanto introducono un uomo senza nome, il protagonista agitarsi più di sua madre l’anziana (Nadime Attieh), per la tintura dei capelli e litigare sul fatto di andare in vacanza. Il tono si deposita finalmente sulla descrizione umoristica, quando il corpulento, impassibile figlio va ciarlando delle minuzie della vita quotidiana con la mamma. Poi un giorno, mentre lui è al lavoro nella sua piccola pasticceria, lei scompare. E lui costernato apprende che si è trasferita a Beirut, lasciandolo in balia di se stesso. Ora, costretto ad adattarsi alla vita da scapolo, ma non si dimostra capace di stabilire un rapporto con nessuno, nemmeno con una prostituta ben disposta nei suoi confronti o con il bambino ficcanaso della porta accanto. Anche il suo tentativo di assumere una maltrattata cameriera etiope (Sablawork Tesfay) è una storia già destinato al fallimento.

C’è una poesia realistica del film, incentrato sulla osservazione delle stranezze del protagonista che nascondono la sua profonda solitudine. Solitudine potenziata da una città implacabile che sembra non perdonare la sensibilità, la mancanza di socievolezza. Strappato dalla madre Michel è come un albero senza radici, che vive un disagio esistenziale infinito. Alla fine a fargli compagnia sarà un uccellino nella sua gabbietta, due gabbie parallele da cui nessuno dei due riesce a uscire. La pellicola girata con estremo rigore e sensibilità, non concede nulla ai facili lamenti o agli ancor più facili accenni di pietismo, piuttosto prosegue con voluta freddezza cercando di illustrare, di indagare ma mai di piangere addosso al personaggio. Un taglio quasi documentaristico quello scelto dai realizzatori, per un film valorizzato dalle ineccepibili perfomance degli attori.