Pink Subaru

23/08/11 - Esordio anomalo per Kazuya Ogawa: in una commedia grottesca multietnica e policroma si incontrano ritratto sociale e gag rocambolesche.

Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA ai protagonisti del film:

  • il regista Kazuya Ogawa e il produttore Mario Miyakawa
  • Kazuya Ogawa, giovane regista giapponese in cerca di una storia per il suo esordio nel lungometraggio, visita la Palestina e ne scopre aspetti poco rappresentati dalla cronaca internazionale. Così, insieme all’italiana Giuliana Mettini e all’arabo palestinese, Akram Telawe (anche attore nei panni del protagonista), si mette a scrivere il progetto per una commedia grottesca. Il filo narrativo è dei più classici: un evento inatteso genera una rutilante escalation di rocambolesche avventure che puntano tutte a un corale lieto fine. Lo sfondo però è del tutto inedito come pure lo è la mescolanza linguistica e antropologica che sostanzia il racconto. Le vicende del film ritraggono parte del vasto traffico di automobili rubate che da Israele – dov’è facile acquistarle – passano nella zona del West Bank, oltre il confine con la Palestina – dove invece è quasi impossibile ottenere una macchina nuova, rivendute, dopo modifiche e assemblaggi, a poche centinaia di dollari. La storia è ambientata in un villaggio arabo in territorio israeliano ma a pochi chilometri di distanza dal confine: molti dei protagonisti sono perciò arabo-isrealiani, ma intorno a loro stanno ebrei isrealiani e due personaggi giapponesi.

    Il risultato di questo concentrato di diversità è un film anomalo, una commedia surreal-funanbolica che soffre di aritmia e schizofrenia ma osa spregiudicatamente la sperimentazione su ogni fronte. La colonna sonora mescola generi e colori esattamente come la sceneggiatura che non teme di versare in una vicenda realistica momenti schiettamente onirici, accostando ritratto sociale e gag grottesche. Il giovane esordiente dirige gli attori con mano insicura e disegna la sua storia con sguardo iperattivo e incoerente. Le incongruenze (che c’entrano i due personaggi giapponesi?) rischiano a ogni momento di far implodere il film. La grande alternanza di azioni e di gag non garantisce la tenuta del racconto che invece arriva al finale quasi solo grazie all’inerzia accumulata. E allora perché pagare il biglietto per vedere questo campione indipendente di anomalie? Non è detto che un film ”indipendente” sia migliore in senso lato di uno prodotto in modo “canonico”, è anzi più probabile il contrario. Quel che invece è certo, quello che dovrebbe spingere tutti gli spettatori a seguire con maggiore attenzione film, piccoli e meno piccoli, nati fuori da un sistema che tende allo standard – pur senza restare immobile al suo interno – è che questi film, tutti in un certo senso sperimentali, sono il fecondo terreno per la coltivazione della diversità e attraverso di essa dello stupore e della conoscenza. Quel che stupisce produce un movimento, ed è muovendosi che si conoscono le cose. Post scriptum. Irisfilm distribuisce in Italia conservando la lingua originale (rara mescolanza d’idiomi e dialetti) e facendo ricorso allo strumento tabù (per il mercato nostrano) dei sottotitoli: onore al merito.

    SILVIO GRASSELLI

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