Roma: panoramica su Alice

20/10/09 - La sezione Alice nella città presenta in concorso quest’anno dodici “piccoli” film sull...

Il meglio visto nella sezione del Festival Internazionale del Film di Roma dedicata ai ragazzi

alicenellacitta20/10/09 – La sezione Alice nella città presenta in concorso quest’anno dodici “piccoli” film sull’infanzia e sull’adolescenza. Il programma, arricchito dalle produzioni di vari paesi, racconta storie quotidiane di vita vissuta, le prime scoperte, le prime perdite, le prime decisioni e svolte fondamentali nella formazione di un individuo. Il tutto confezionato in un realismo che oseremmo definire magico, forse con un po’ di azzardo ma con cognizione di causa, perché quanto a compattezza di selezione dei titoli dei film, Alice nella città è senza alcun dubbio la più interessante e per certi versi la più coraggiosa e originale sezione di un festival che invece non regala molti brividi nelle categorie principali riservate ai “grandi”. Tra questi dodici titoli proposti, quasi tutti appartengono a giovanissimi filmaker alla prima importante esperienza. Spesso sono autori con storie autobiografiche da raccontare, portate sullo schermo anche con uno stile asciutto e secco, molto “adulto”, maturo, che riesce a intingere dal quotidiano e, allo stesso tempo, riesce a vedere al di là delle apparenze. Sono, soprattutto, opere capaci di cogliere e cercare di capire i giovani di oggi, con i loro problemi, nuovi eppure simili a quelli di sempre. Tra le pellicole fino ad ora visionate – siamo oramai alla metà del decorso del festival – quattro lasciano in particolare il segno.

“A Boy Called Dad” di Brian Percival, regista anglosassone di esperienza quasi esclusivamente televisiva incentrata su adattamenti letterari di autori immortali come Dickens o Shakespeare, che, in questo caso, si cimenta nella storia di un ragazzino defraudato della figura paterna e che si ritrova improvvisamente ad essere padre egli stesso. Ritratto naturalista di un giovanissimo uomo, vissuto e cresciuto con un tassello “mancante” della sua formazione, vittima di una piaga sociale, come quella delle gravidanze indesiderate nei teenager, un argomento che scuote molto l’opinione pubblica inglese per la sua impellenza e vastità. Impreziosito dalla bella performance del veterano Ian Hart e dal piccolo Kyle Ward, alla sua prima esperienza dietro la macchina da presa.

vegas_small

“Vegas”, pellicola norvegese di Gunnar Vikene, narra le storie di tre adolescenti, due ragazzi e una ragazza, finiti in una casa famiglia nella quale sono costretti a reggersi l’uno sull’altro perché abbandonati dai propri famigliari per ragioni più o meno egoistiche. Taglio giovanilistico e asciutta analisi sociale della solitudine umana nella quale vengono abbandonati i più giovani da adulti immaturi.

“The Be All and End All” di Bruce Webb affronta un tema importante come la morte e l’amicizia. È la storia di un ragazzo sedicenne costretto ad affrontare l’accettazione dell’imminente morte del suo migliore amico, affetto da una disfunzione cardiaca, il quale a sua volta gli chiede di aiutarlo a perdere la verginità prima di morire. Dalla struttura asciutta, a metà strada fra una malinconia mai dichiarata e un’ironia sottile, narra con sensibilità una vicenda, che in altri contesti e in un’altra forma sarebbero sembrati grossolani, mentre in questo caso Webb cerca sempre di rispettare e dare una forte dignità ai suoi personaggi.

dear lemon

“Dear Lemon Lima” di Suzi Yoonessi è sicuramente il più originale tra quelli visionati fino ad ora da un punto di vista formale. La giovane Yoonessi (produttrice di “Me and You and Everyone We Know”) è, infatti, capace di saper raccontare con uno stile moderno, allegro e una regia compostamente fiabesca, venata di garbati stilemi pittorici, che trovano vita attraverso una scenografia surreale e una fotografia impalpabile e fluttuante. Sullo sfondo di un’Alaska armonica e indelebile, la pellicola racconta la formazione di Vanessa Lemor, un’adolescente a contatto con la sua cultura di origine Yup’ik contestualizzata in una modernità di contraddittoria alienazione. La giovanissima Savanah Wiltfong, una vera scoperta, mentre il cammeo di Melissa Leo, candidata lo scorso gennaio agli Oscar per “Frozen River, dimostra quanto sia interprete di raffinato ingegno. Belle note sonore, anche se un po’ troppo invadenti. Assolutamente da non perdere, ma necessita di un’attenzione particolare per apprezzarne il suo valore interiore.

(ERMINIO FISCHETTI)