Roma, rimpianti e imprevisti

21/10/09 - Il Concorso internazionale del Festival di Roma prosegue tra la prevedibilità e...

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Soddisfacente il “piano B” del concorso capitolino

(Dal nostro inviato Alessandro Aniballi)

les regrets21/10/09 – Il Concorso internazionale del Festival di Roma prosegue tra la prevedibilità e l’imprevisto: tanto è estremamente convenzionale, nel solco del cinema francese, ”Les regrets” di Cedric Khan, tanto è sorprendente ”Plan B” dell’argentino Marco Berger. Il primo è l’ennesima variazione sul tema dell’amor fou, girato a tratti con brio, ma pieno di scontati andirivieni nel gioco del ”ti prendo, ti lascio, ti riprendo e poi di nuovo…”. Senz’altro Khan guarda a Chabrol e a ”La signora della porta accanto” di François Truffaut. Dal cantore della media borghesia perennemente moribonda prende certi topoi visivi (le riprese ossessive dal parabrezza dell’auto) e la caratterizzazione dei personaggi, esseri intrisi di mediocrità e pronti proprio per questo alla follia e, magari, all’omicidio. Dal compianto regista de ”I quattrocento colpi” invece Khan recupera l’irrazionalità dell’amore e il dramma di un uomo e una donna che ne restano pervasi in momenti diversi, in una continua e ”zenoniana” rincorsa (era questo il centro conflittuale di quel capolavoro che è ”La signora della porta accanto”). A fronte di cotanti referenti Khan non cade mai del tutto di tono, ma allo stesso tempo non riesce a emergere, privo sia della sottile e sarcastica ironia chabroliana che del sublime e stravolgente neo-romanticismo truffatiano. ”Le regrets” è dunque un film di mestiere e di maniera, un po’ grigio ma sostanzialmente ”corretto” (se non per la vicenda della morte della madre, che non ha alcuna influenza nell’economia del film né tantomeno nel successivo comportamento del protagonista).

L’inatteso ”Plan B” invece si è guadagnato una nutrita schiera di detrattori per una sostanziale ”vuotezza” narrativa, caratteristica che al contrario, secondo noi, è il segno di una comprensione profonda del concetto di piano-sequenza, che permette di esaltare la recitazione degli attori, le continue indecisioni che affliggono i personaggi, la loro contrita timidezza e, dunque, il realismo complessivo dell’opera. D’altronde il plot, che ha tutti i crismi di una commedia indipendente americana (un triangolo dis-equilatero da cui nasce una sorprendente storia d’amore al maschile), viene per certi versi ”denuclearizzato” a favore di una narrazione dilatata, sostanzialmente priva di scene madri, e dunque più credibile. Così l’happy end, più che il frutto di un meccanismo a orologeria di azioni e reazioni, è la conseguenza di un intimo e sofferto sommovimento interiore, di cui abbiamo potuto seguire l’evolversi passo dopo passo. Girato in un digitale sporco e quasi ”acquarellato” (sono molto affascinanti le riprese in esterni che mostrano una realtà degradata ma a suo modo pasolinianamente bella), ”Plan B” è una gradita anomalia nell’ambito di una selezione sinora forse troppo generosa nello scegliere la presunta ”bella forma” (si vedano gli esempi di ”The Last Station” e di ”Chaque jour est une fête”).