Tomboy

28/09/11 - L'opera seconda di Celine Sciamma è un raffinato racconto a misura di bambino, realizzato in poco tempo ma fondato sull'accuratezza dello stile.

Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA alla regista del film:

  • Celine Sciamma
  • Due volti – un uomo abbracciato a una bambina, un padre avvinghiato a sua figlia – che si alternano in un dondolio infantile e ipnotizzante, come in una sequenza di montaggio, come in uno split screen, e che invece sono ripresi insieme, dentro un’unica inquadratura fissa: un corpo solo che produce due volti, nei due volti due emozioni diverse, due visioni dell’amore. È un breve intenso momento di Tomboy, secondo lungometraggio scritto e diretto dalla trentatreenne francese Céline Sciamma. Una bambina di dieci anni, appena arrivata nel nuovo quartiere dove vivrà con la sorellina e i due genitori, viene scambiata per un bambino: dopo una breve esitazione Laure decide d’iniziare a giocare il ruolo di Michael, maschio discreto ma amante del calcio e pronto a difendersi con i pugni.

    Interamente pensato, scritto e diretto con gli occhi di un bambino, Tomboy è stato preprodotto, girato e montato nel breve volgere di pochi mesi. Indipendente fino in fondo al suo percorso, è “un film al presente”, dice la regista, un film che costruisce il suo racconto forte e raffinato basandosi proprio sulla freschezza e sull’energia vitale del film lampo. Lontano da ogni clichè sull’identità sessuale, sulle dinamiche relazionali, psicologiche e comportamentali dei bambini, Sciamma dirige un film tutto cinematografico che si costruisce per accumulo di immagini. “È un film d’azione”, dice la giovane regista, alludendo all’attività costante dei protagonisti bambini, alla varia ma fluida quantità di gesti e operazioni messe in scena dall’inizio alla fine del film. Una danza coerente e perpetua dentro la quale il lieve incresparsi di un volto in un accenno di sorriso vale quanto uno schiaffo, l’esitazione di una mano vicina a quella di un altro quanto una corsa forsennata o un tuffo in acqua. Un racconto senza morale ma fondato sull’etica dell’accuratezza e ancora di più sulla capacità del cinema di produrre emozione carica di significato. Un significato che è senso e che inizia dai sensi. Celine Sciamma conferma con questa sua seconda prova un talento e un istinto cinematografico cristallini. Non resta che godersi il presente e sperare in un fecondo futuro.

    SILVIO GRASSELLI

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