Ca’ Foscari 05: docufiction e mockumentary

Le nostre interviste ai registi del concorso internazionale Bruno Polonio per Ronde, Mark Gerstorfer per Erlosung e Daniele Tucci regista con Chiatti/Faggionato di Ardeidae.
Intervista a Daniele Tucci a cura di Giovanna Barreca
Intervista a Bruno Pulonio a cura di Giovanna Barreca
Intervista a Mark Gerstorfer a cura di Giovanna Barreca

mocky01La mattina del secondo giorno del Ca’ Foscari short film festival è iniziata in maniera molto ludica con il video-oke: gli spettatori si sono cimentati con il doppiaggio di diverse scene di film famosi, da Hunger games a Ghost Busters, per poi entrare nel vivo del concorso internazionale di cortometraggi provenienti da tutte le più importanti scuole di cinema. Stupisce sempre come giovani filmmaker decidano di raccontare il rapporto con la storia del loro paese e cerchino di trovare qualcosa di personale che li riguardi direttamente. Bruno Pulonio con Ronde torna sul 1973 in piena dittatura Salazar, con un pugile costretto a truccare un incontro perché un poliziotto trattiene il fratello. Intorno alla boxe si consuma il dilemma del protagonista. L’atmosfera sospesa, una macchina stretta sui protagonisti e una scelta cromatica netta come quella del bianco e nero trasportano lo spettatore nel dramma del protagonista che, nonostante scelga di salvare il fratello, perde comunque perché nelle dittature si è sempre vittime. “Non c’è mai speranza in un regime senza libertà” afferma il regista durante la nostra intervista. Altra dittatura, quella nazista, e altra pagina di storia che andrebbe conosciuta perchè spesso nei ragazzi l’ignoranza del passato si trasforma in non rispetto per la vita nel lucido e disarmante lavoro di Mark Gerstorfer: Erlosung. Dichiarazione del regista austriaca che, attraverso il mockumentary, racconta tre giovani che iniziano come in un gioco a mettere in scena il loro suicidio: alcune situazioni di disagio fino a quando dalla finzione si passa alla (finta) realtà. Un fenomeno sempre più diffuso ed amplificato grazie all’uso dei social network che i ragazzi usano per rendere memorabile il momento della loro morte. Nel corto si ha un corpo che diventa narrazione stessa fatta di occhi deformati dall’uso delle droghe, piedi che perdono l’aderenza con il terreno o percorrono binari metropolitana. Il tutto attraverso quello che il regista stesso definisce “macabro romanticismo”.
E in maniera più trasversale c’è un rapporto con la storia italiana e soprattutto con i luoghi veneziani noti in Ardeidae di Chiatti/Faggionato e Tucci. La città nell’immaginario collettivo è ben definita e riconoscibile. Nel corto una serie di luoghi noti vengono raccontati dalla voce fuori campo di una guida ma su immagini che non aderiscono con la voce ma sono quelle di una città sconosciuta fatta di fabbriche abbandonate tra steppe, fango e ferro dove si muovono tre ignari turisti asiatici. Un cortometraggio sull’identità che non cerca una rappresentazione banale ma denuncia l’assenza di una città che, come sottolinea il film nell’ultima scena: “non esiste”.

giovanna barreca