Stateless Things

In Orizzonti, il regista coreano Kim Kyungmook presenta un film low-budget tra immigrazione e omosessualità, romanticismo e denuncia sociale.

Tra i pochi titoli coreani a Venezia 68, Stateless Things di Kim Kyungmook racconta due storie d’amore melodrammatiche, una coppia di immigrati clandestini prima (proveniente dalla Corea del Nord lui, dalla Cina lei) e due ragazzi omosessuali poi. Selezionato in Orizzonti, il film è in linea con la recente tradizione veneziana di scegliere opere coreane “sporche” e a low-budget, prive della confezione laccata tipica di tanta produzione di quel paese. Stateless Things però, più che rifarsi a certa tradizione nazionale di cinema arrabbiato e politico, usa lo spunto potenzialmente pregno di valenze sociali per architettare un racconto in tono minore girato, non solo a basso budget, ma anche un po’ male, con un tono di romanticismo – e insieme di didascalismo – che risulta sgradevole. È in tal senso sin troppo esplicativo il collage di sequenze in cui si vede la coppia di immigrati che, in fuga dalla polizia, va a visitare come atto di sfida i luoghi centrali della città, normalmente proibiti per loro.