Page Eight

02/11/11 - Dopo i festival di mezzo mondo, approda a Roma, la produzione televisiva di David Hare che nonostante l'eleganza e la correttezza formale lascia indifferenti.

Dal nostro inviato ERMINIO FISCHETTI

David Hare, grande figura culturale britannica, torna alla regia filmica dopo un’assenza di quattordici anni con Page Eight, lavoro per la televisione targato BBC e presentato nel Focus Occhio sul Mondo al Festival di Roma. Pellicola dal taglio classico, Page Eight è una spy story che ricorda i racconti di John Le Carré in un XXI secolo dove lo spionaggio ha acquisito nuove forme e nuovi meccanismi. Questo elemento viene ricordato spesso al protagonista del film, Johnny Worricker, un agente dell’intelligence che si occupa della sicurezza della Gran Bretagn:, un uomo vecchio stampo che crede ancora nell’integrità lavorativa. Elemento anomalo in un mondo dove il governo e i politici sono i primi ad essere corrotti. Infatti, il nostro gentiluomo, collezionista d’arte e amante del jazz, ben presto si imbatte in intrighi che vedono Stati Uniti e Gran Bretagna in combutta per fare una guerra al terrorismo che si rivela ancora più sporca e di sicuro più ipocrita di quella degli avversari.

David Hare scrive e dirige correttamente un film che vuole essere un omaggio al cinema classico del genere, il cui elemento narrativo principale è ovviamente l’elemento politico che si serve del mystery come veicolo per narrare il dualismo dei comportamenti umani. A questi dati, Hare, due volte candidato agli Oscar come sceneggiatore di The Hours e The Reader – A voce alta, però non aggiunge nulla di personale e il film, impeccabile nella sua scrittura, possiede però una regia troppo lineare che rende l’intrigo a lungo andare monotono. L’autore lascia invece molto spazio all’asciutta caratterizzazione del personaggio protagonista, ben delineato e rappresentato dal volto impenetrabile di un grande Bill Nighy. Anche se a lungo andare questo fattore si rivela anche un difetto perché l’opera, troppo concentrata su di lui, non lascia spazio agli altri personaggi, tra tutti quello di Rachel Weisz (già in Occhio sul Mondo con The Deep Blue Sea), che interpreta una giovane donna che vuole far luce sui reali responsabili della morte del fratello, che invece il governo vuole insabbiare. Interpreti come la Weisz, Judy Davis (meravigliosa come sempre nel tessere un personaggio ambiguo), Ralph Fiennes e Michael Gambon avrebbero meritato di essere sfruttati meglio, anche se alla fin fine in questo thriller sono proprio loro che danno un po’ di movimento ad una operazione ineccepibile sotto il punto di vista tecnico, ma priva di originalità e troppo flemmatica. Page Eight non aggiunge nulla a questo genere cinematografico, che vede antesignani in Alfred Hitchcock, Carol Reed, Orson Welles, John Schlesinger, John Frankenheimer e persino Blake Edwards, ma perlomeno è un solido e onesto racconto, che si serve di una Londra elegante e fredda, scura e impeccabile.

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