In the Courtyard

Pur essendo un’opera discontinua, va riconosciuto a Salvadori di aver portato a conclusione il film nella maniera più giusta, senza ammiccare a happy ending suggestivi ma fittizi, rispettando per prima cosa l’essenza dei personaggi.

In Order of Disappearance

Se dovessimo scegliere tre colori per riassumere la visione di “In Order of Disappearane” punteremmo sul bianco delle sterminate distese di neve in cui la storia si svolge, sul rosso del sangue e sul nero della notte in cui Stellan Skarkgard agisce calandosi nei panni di una sorta di Ispettore Callaghan.

Felice chi è diverso

Presentato a Berlino Felice chi è diverso, il documentario di Gianni Amelio che esplora il mondo dell’omosessualità: storie di uomini che tracciano quasi un’antropologia della diversità attraverso le epoche e al di là di ogni stereotipo.

The Dark Valley

Presentato a Berlino nella sezione Special Gala, “The Dark Valley” è uno strano e originale western ambientato tra le montagne e i boschi dell’Alto Adige, che non mantiene nel finale le buone premesse, nonostante un incipit interessante e una confezione ben curata.

Blind Massage

Mostrando uomini e donne che si amano senza vedersi, che sopperiscono alla carenza degli occhi con i rumori, annusando il profumo della pelle della persona prediletta, Ye obbliga il pubblico a mettersi sulla loro stessa lunghezza d’onda.

The Turning

Presentato nella sezione Berlinale Special Gala l’ambizioso film australiano basato sul libro omonimo del romanziere Tim Winston del 2005: 17 racconti brevi portati al cinema da altrettanti registi e autori ognuno con la sua personale visione con il risultato di un oggetto misterioso non privo di fascino ma di difficile decifrazione.

History of Fear

Il film colpisce per le sue atmosfere da horror urbano e per quell’aura minacciosa che sembra avvolgere tutto, tuttavia, la direzione della storia non è ben definita.

The Nymphomaniac – Part 1

“The Nymphomaniac” non è un film su sesso, ma sull’amore. Anche, e soprattutto, in assenza d’amore.

Stations of the Cross

Il film ci emoziona nel profondo per il modo diretto di affondare le mani in una materia spinosa e delicata, senza mai rinunciare al proprio punto di vista e ad una critica feroce.

Monuments Men

Il film è un’opera leggera, pervasa comunque da una riflessione continua sul valore dell’arte e naturalmente della vita umana.

’71

A differenza di altre pellicole che hanno affrontato la delicata questione irlandese, ’71 non ha paura di mostrare i torti di entrambe le fazioni, sia dell’IRA che dei Lealisti protestanti.

Love Is Strange

L’approccio diretto, quotidiano, al tema del matrimonio gay rappresenta la ricchezza di un film che, nei suoi momenti migliori, sa essere commovente e coinvolgente.

Two Men in Town

Presentato in concorso alla Berlinale, remake del poliziesco francese del 1973 Due contro la città, nella versione di Bouchareb diventa una sorta di western atipico ambientato lungo la frontiera nel deserto del New Mexico, cone Forest Whitaker in cerca di redenzione a cavallo di una vecchia Triumph. Più interessante e suggestivo nelle premesse che nel modo in cui la storia è raccontata.

Kumiko, the Treasure Hunter

Dal Sundance a Berlino il viaggio del personaggio interpretato da Rinko Kikuchi dal Giappone a Fargo sulle tracce di una valigetta piena di soldi e guidata da un’ossessione per i David and Nathan Zellner.

Jack

Il regista adotta un taglio realistico ed essenziale nel mettere in scena il viaggio di Jack, ponendo il protagonista sempre al centro della narrazione, ma fallisce nel circondarlo di un contesto ugualmente efficace, popolato di figure secondarie poco approfondite e situazioni irrisolte.

2030

Nguyen-Vo Minh crea un’ambientazione suggestiva in un Vietnam del sud del prossimo futuro, ma non riesce a bilanciare gli diversi elementi della storia.

Yves Saint Laurent

Del processo creativo che ha reso unico Saint Laurent nel suo campo, poco viene messo in mostra però nel film, ed è forse la pecca maggiore in un prodotto che invece avrebbe dovuto maggiormente esaminare questo elemento, amplificarlo, illuminarlo.

The Grand Budapest Hotel

Anderson ci offre un’amara, spiazzante e illuminante riflessione sul progressivo e orribile imbarbarimento umano, mantenendo fede al proprio stile iperrealistico e grottesco; un pensiero che non lascia indifferenti, non se si amano le storie, o meglio la bellezza del raccontare le storie.