Addio a Theo Angelopoulos

25/01/12 - Theo Angelopoulos ci lascia a 76 anni. Rappresentante di un cinema impervio e problematico, che ha sempre diviso critica e pubblico.

C’è chi utilizza il territorio espressivo del cinema come uno strumento di espressione personale, di ricerca, di riflessione esistenziale. Theo Angelopoulos, che ci ha lasciato in maniera piuttosto drammatica a soli 76 anni a seguito di un incidente nel bel mezzo delle riprese del suo nuovo film, appartiene a questa schiera. Malgrado i consueti riconoscimenti post mortem, che d’improvviso uniformano le voci a tutte le latitudini in occasioni simili, Angelopoulos non ha mai messo tutti quanti d’accordo. E non soltanto perché il suo cinema fosse ovviamente lontano dai gusti correnti del grosso pubblico, ma anche perché tra gli addetti ai lavori qualcuno più volte ha storto il naso nei confronti di un cinema così impervio, problematico, soprattutto quando raggiungeva vette accademiche e autoreferenziali (tra i cori di stima di questi giorni, forse qualcuno riuscirà anche a ricordare che nel 1998 la Palma d’Oro a Cannes, ricevuta per L’eternità è un giorno, fu accolta da rumorosi fischi alla cerimonia di premiazione).

Rappresentante di una nuova generazione di cineasti greci, che si avvicinarono alla scena europea e poi mondiale intorno alla metà degli anni ’60, Angelopoulos ha allestito un’opera talvolta intrisa di politica, ma sempre tramite un linguaggio volutamente poetico, traslato e rarefatto. Non è un caso se uno dei suoi più fedeli collaboratori in sede di sceneggiatura sia stato Tonino Guerra; spesso le due personalità si sono confuse in un’unica “entità creativa”, tanto congeniali apparivano le loro rispettive ispirazioni. Sopra ogni cosa, il cinema di Angelopoulos si distingue per la sua profonda ricerca all’interno dei confini più specifici del linguaggio cinematografico. Non si tratta di cinema in cerca di sperimentazioni tecniche, neanche delle più elementari, ma piuttosto di amplificazione e sfruttamento creativo dei principi basilari su cui si fonda l’espressività cinematografica. E’ ben nota la predilezione di Angelopoulos per il piano-sequenza (per alcuni, predilezione “famigerata”, dato che di fronte a lunghi minuti di proiezione meditativa senza tagli di montaggio molti magari hanno tentato la fuga…). In tale tendenza è rintracciabile buona parte dell’idea-cinema inerente all’autore. Un cinema occasione di riflessione, di poesia, di linguaggio metaforico e/o allegorico, in cui la coreografia di paesaggio e figure umane segue un principio di minuziosa composizione e di interrelazione significante. Più volte Angelopoulos ha avuto rapporti col nostro cinema, evidenziando una reiterata preferenza per i nostri attori: tristemente leggendario è il mancato incontro con Gian Maria Volonté, che rifiutò il ruolo di protagonista in Il volo (1986), assegnato poi a Marcello Mastroianni, e che iniziò poi le riprese di Lo sguardo di Ulisse (1995), per essere poi sostituito da Harvey Keitel a seguito della sua morte improvvisa. E il film che oggi Angelopoulos lascia incompiuto, L’altro mare, prevedeva Toni Servillo come protagonista. Inoltre, Marcello Mastroianni fu protagonista anche di Il passo sospeso della cicogna (1991) in coppia con Jeanne Moreau. Ma, più ancora che i suoi film successivi, restano di primaria importanza i suoi esordi, purtroppo in buona parte finiti nel dimenticatoio (a partire da quello che probabilmente è il suo capolavoro, La recita) realizzati nel corso degli anni ’70 con la Grecia prigioniera del Regime dei Colonnelli e scopertamente ostile alle opere di Angelopoulos. Meriterebbero un giusto recupero, in omaggio a un autore che poteva dare ancora molto al cinema.

MASSIMILIANO SCHIAVONI