Belli e indipendenti

24/06/11 - Con l'uscita de L'albero analizziamo la carriera di Julie Bertuccelli ex aiuto regia di Kieslowski, Tavernier, Iosseliani.

Belli e indipendenti – Indagine sull’odierno cinema indipendente a cura di Giovanna Barreca

Per tutti gli appassionati di Italo Calvino nel mondo, per tutti coloro che sono cresciuti con le sue meravigliose storie e un “Barone rampante” lo hanno da sempre nella testa e nel cuore, l’uscita a breve – dopo l’accoglienza fuori concorso a Cannes 2010, de L’albero – sarà un’esperienza da vivere. I diritti per il romanzo dello scrittore italiano, nato a Cuba, erano bloccati ma l’adattamento del libro “Our father who art in the tree” di Judy Pascoe ha permesso alla giovane regista Julie Bertuccelli di portare sullo schermo un albero e una bambina (e i suoi 3 fratelli e la madre) come protagonisti di una storia poetica e lirica. Un albero come rinascita a nuova e diversa vita. Un film che nasce da una storia per bambini ma che regala uno sguardo tenero e umoristico agli adulti. Per enfatizzare ancora di più la forza della natura, in film è ambientato in Australia: “Terra dove sistematicamente viene ricordato all’uomo quanto sia semplicemente una parte del disegno. E non quella più importante” – precisa la regista francese. Parliamo del film e della sua autrice all’interno di questa rubrica perché nel panorama delle produzioni indipendenti, si tratta di un caso interessante e speriamo di stimolo per chi in questa rubrica cerca spunti per un cinema ‘altro’. Julie Bertucelli con L’albero è solo al suo secondo lungometraggio anche se ha un trascorso significativo nel cinema: figlia del regista Jean Louis, è stata assistente alla regia di grandi autori come Kieslowski, Tavernier, Iosseliani ma solo nel 2003 ha deciso di passare dietro la macchina da presa con un film totalmente indipendente e di finzione: Da quando Otar. Una pellicola che ha come protagoniste tre generazione di donne che convivono con speranze e silenzi dai molteplici significati. Un film difficile e sicuramente non di facile fruizione che risentiva ancora molto del passato da documentaristica dell’autrice e della sua voglia “di raccontare la realtà che è sempre più forte di qualsiasi cosa creata artificialmente”.

Solo i riconoscimenti ottenuti dal film – Gran Premio della Settimana della Critica a Cannes nel 2003 e premio César come miglior opera prima le hanno permesso di ottenere l’attenzione di diversi produttori internazionali. Ma pur avendo la possibilità di essere sovvenzionata da gruppi economicamente importanti, ha scelto di affidarsi ancora una volta a produttori da sempre attenti alla qualità e alla salvaguardia dell’indipendenza dei loro autori, a partire da Sue Taylor, regista e ora produttrice australiana che deteneva i diritti sul libro di Pascoe e che, dopo aver visto Da quando Otar, impressionata dalla potenza espressiva, ha deciso di lavorare insieme alla regista all’adattamento del libro. Il secondo risultato importante che ha poi portato alla realizzazione del film è stata l’attenzione ricevuta da Charlotte Gainsbourg che ha amato da subito il progetto “e – a detta della regista – era l’unica possibile interprete perché sa catturare le emozioni della vita in tutta la sua tristezza, umorismo, forza e bellezza”.