Italian Graffiti

16/11/10 - "Il maestro di Vigevano" (1963) di Elio Petri: Alberto Sordi alle prese con una parte rara...

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Percorsi italiani nella (s)memoria cinematogrfaica collettiva

“Il maestro di Vigevano” (1963) di Elio Petri: Alberto Sordi alle prese con una sua rara (forse unica) incursione in un contesto cinematografico “al di sopra di sé”

(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)

italian graffiti16/11/10 – Tutto il cinema dei grandi autori di commedia all’italiana a cui Alberto Sordi si è prestato ha spesso trasceso, ormai è assodato, la sua natura di spettacolo popolare e ha sempre palesato una forte identità autoriale. Tuttavia, il progetto cinematografico nasceva, di norma, prima di tutto intorno a due, tre grandi nomi di attori, e non a caso buona parte di tali opere erano offerte ai diversi “colonnelli” prima di trovare il loro interprete (celebre il caso de Il sorpasso, che da Sordi passò a Gassman). Come a dire, prima l’attore, poi il film. Ovvero, prima la sicurezza di un buon incasso, poi la scrittura. Rarissime volte Alberto Sordi si è trovato in contesti in cui tale impostazione produttiva è stata scavalcata, ossia in cui il progetto filmico trovava una sua ragion d’essere a prescindere dalla sua mattatorialità, e soprattutto a prescindere da ciò che lui stesso rappresentava nella cultura dell’epoca, e da ciò che di conseguenza il pubblico si aspettava da lui. Esclusi gli esordi con Fellini, con ogni probabilità Il maestro di Vigevano di Elio Petri è l’unico caso in tutta la sua carriera. Anche in esso troviamo, qua e là, i tic per cui Sordi era tanto popolare presso il pubblico, ma in un contesto eminentemente autoriale, dove la regia è tale, dove l’attore non è arginato, ma semplicemente “diretto” e incarnato in un vero personaggio. Certo, potremmo citare anche Una vita difficile di Risi, Un borghese piccolo piccolo di Monicelli o Detenuto in attesa di giudizio di Nanni Loy, ma in un modo o nell’altro pure queste opere nascono intorno ad Alberto Sordi, la cui personalità, tradita o riletta, presuppone comunque al progetto, sia pure in contesti narrativi più corposi che nella media della sua sconfinata filmografia.

Più che una scommessa autoriale, probabilmente la scelta di Sordi fu anche un compromesso imposto a Elio Petri dal suo “grande produttore” De Laurentiis, che in qualche modo voleva cautelarsi con il pubblico, visto che il romanzo di Lucio Mastronardi avrebbe sicuramente condotto l’opera verso territori alieni alla convenzionale commedia all’italiana. E così fu, in effetti. Personalità assolutamente singolare nel panorama nazionale dei ’60 e ’70, Petri non cerca affatto la commedia, ma punta verso una poetica individuale che fiorirà con i successivi apologhi, ma di cui già troviamo ampie tracce in questa opera sbilenca. Si rileva, innanzitutto, la tendenza a inconsueti toni espressionistici, che caratterizzano il tratteggio dei personaggi secondari e che emergono nelle scelte di racconto per immagini (primissimi piani deformanti, uso altrettanto deformante del carrello e angosciosa profondità di campo). La prova di Sordi si rivela molto umile e funzionale. Petri se ne serve per un suo primo racconto di sofferta e abortita omologazione, in cui il personaggio conserva inaspettate aperture di dignità e di reazionaria malinconia. Reazionario, si badi bene, perché nell’omologazione a cui non riesce ad adeguarsi, il maestro Mombelli avverte la sparizione della sua utilità sociale, del suo prestigio, della sua priorità morale in quanto (presunta) “anima nobile”. Personaggio tragico, sgradevole e disturbante, lontanissimo dalle diffuse e ambigue indulgenze della tradizionale commedia nostrana di quegli anni.

Il trailer originale del film: