Non lasciarmi

23/03/11 - Come nei casi migliori, Non lasciarmi usa la fantascienza non per creare spettacolo tecnologico ma per ragionare sul presente.

Non lasciarmi Come nei casi migliori, Romanek usa la fantascienza non per creare spettacolo tecnologico ma per ragionare sul presente col pretesto di mondi vicini e possibili

23/03/11 – Nel grigio palinsesto delle uscite cinematografiche, in mezzo alla carestia di visioni e d’idee, di sguardi e d’illuminazioni, incastrato tra una commedia e un film d’azione arriva Non lasciarmi, produzione britannica diretta da uno statunitense atipico e interpretato da un giovane cast quasi completamente inglese. A cinquant’anni passati, Mark Romanek – statunitense molto attivo a Londra e dintorni come regista di video musicali e nella pubblicità – ha diretto solo tre lungometraggi: Static(1985), film di culto in Gran Bretagna ma sconosciuto ai più nel resto del mondo, One Our Photo (2002), che nonostante una strutturale fragilità è rimasto nella memoria del pubblico più attento, e questo nuovo inconsueto film di fantascienza tratto da un romanzo del giapponese Kazuo Ishiguro ma ambientato in Inghilterra tra il 1978 e il 1994.

Una genia di esseri umani nati per clonazione crescono, vivono brevi vite e muoiono con il solo scopo di donare i propri organi – tutti – agli “altri”, i cittadini liberi che così possono allontanare morte e malattie. Romanek sceglie, come in passato, di lasciare che le parole sfilino innocue ai margini dello schermo fissando il baricentro del film intorno alla costruzione delle scene, al movimento dei corpi nello spazio, alla tensione di un gesto o di un’espressione trattenuti. In un realismo rarefatto e sospeso, il regista procede tessendo reti di relazione tra gli sguardi e i corpi dei suoi interpreti, governando accortamente cariche emotive che vengono poi liberate in deflagrazioni discrete, antiretoriche, guardate a distanza. I tre giovani protagonisti sembrano essere stati perfettamente scelti e mescolati, e da soli reggono più della metà del film: Keira Knightley finalmente nel ruolo di un’insopportabile arcigna, che molto le si addice, il futuro nuovo Spiderman, Andrew Garfield e Carey Mulligan – sorprendente protagonista di An Education – lavorano finemente sui loro corpi come se attimo dopo attimo sulle loro spalle, intorno ai loro muscoli crescesse un peso invisibile e doloroso, sempre sul punto di sopraffarli. Come nei casi migliori, qui la fantascienza non serve a creare spettacolo tecnologico ma a ragionare sul presente usando il pretesto di mondi vicini e possibili. Il paradosso inquietante nascosto nelle pieghe del plot cede presto il passo alla storia d’amore, per poi tornare, sul finire del film, a rivelare il suo cuore filosofico: nessuna vita è più vera e intensa di quella che conosce e ricorda la propria inevitabile fragilità.

SILVIO GRASSELLI

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