Porcile

Porcile (1969) di Pier Paolo Pasolini: in occasione della retrospettiva totale del MoMA di New York, riscopriamo uno dei titoli più dispersi della filmografia pasoliniana.

Italian Graffiti – Percorsi italiani nella (s)memoria cinematografica collettiva a cura di Massimiliano Schiavoni

italian graffitiTutto Pasolini. Il MoMA di New York, per la seconda volta in poco più di 20 anni, rende un omaggio prezioso a uno degli autori più audaci, amati e al contempo rimossi del nostro cinema. In collaborazione con Cinecittà Luce e la Cineteca di Bologna, infatti, il MoMA presenta dal 13 dicembre al 5 gennaio un percorso totale nell’opera cinematografica pasoliniana, assemblando in un’unica programmazione anche tutta quella produzione frammentaria, meno reperibile, di “appunti visivi”, cortometraggi, documentari e dintorni, sperimentazioni sul mezzo (Appunti per un’Orestiade Africana, Appunti per un film sull’India, Comizi d’amore, La rabbia, La Terra vista dalla luna, La ricotta…). Sarà riproposto anche Porcile, che risulta tra i titoli meno reperibili, almeno in Italia, di tutta la filmografia pasoliniana. Bizzarra trascuratezza, dal momento che esistono edizioni dvd italiane persino dei suoi cortometraggi, appunti e quant’altro, mentre di Porcile si sono dimenticati un po’ tutti; dopo il restauro a opera della Cineteca di Bologna e la presentazione all’ultimo Festival di Venezia, forse è arrivato il momento anche di una nuova edizione home video. Oltretutto, si tratta (con le dovute proporzioni, ovviamente) di uno dei film pasoliniani più facilmente accessibili, in cui la riflessione per immagini rischia spesso di appiattirsi nell’immediatezza dell’apologo.

E’ tuttavia assai interessante riscoprirlo, poiché costituisce una sorta di cerniera tra Teorema e la Trilogia della Vita. Ispirandosi a un suo stesso testo teatrale, Pasolini narra due vicende parallele separate da secoli: la storia di un folle silenzioso (Pierre Clémenti) che, in un’imprecisata epoca del passato, con estrema disinvoltura pratica il cannibalismo e finisce condannato, e quella di un figlio di papà (Jean-Pierre Léaud) nella Germania degli anni ’60, che rifiuta il suo destino familiare ma al contempo non è capace di ribellarsi, e finisce divorato dagli stessi maiali da cui è sessualmente attratto. Come dicevamo, due vicende allegoriche di immediata efficacia: i cannibalismi, ieri come oggi, di una società violenta con i propri figli e con le loro aspettative, e la colpevole debolezza di quegli stessi figli prigionieri di tare borghesi. Tuttavia la ricerca sul mezzo visivo resta altissima. Alternando i silenzi di una vicenda alla grottesca verbosità dell’altra, Pasolini ricorre a strumenti cinematografici minimi e primitivi. Porcile può essere letto infatti come un unico lunghissimo brano di montaggio parallelo, strumento “ideologico” messo a punto da Griffith e dalle avanguardie sovietiche e poi rapidamente scomparso dalla prassi cinematografica. O meglio, più che scomparso, riletto, ridotto nell’uso, rimodellato. Pasolini risale invece alla fonte, e imbastisce rimandi squisitamente ideologici tra un episodio e l’altro. Il montaggio è sovrano, e le inquadrature, nel loro giustapporsi, mirano a suscitare riflessione, per assonanza o dissonanza. E’ un cinema di idee forti e convinte, notevolmente programmatico, ma che cerca sempre e comunque l’alta commistione degli strumenti in funzione di un concetto. Che tenta di coniugare la poesia all’impegno, l’espressione all’ideologia. Che tenta, infine, di trasformare il linguaggio cinematografico in strumento di poesia. Arditezze di altri tempi e di altri uomini. Tra i protagonisti compare anche Ugo Tognazzi. Ci preme ricordarlo, perché tra i colonnelli della nostra commedia è quello che forse ha seguito il percorso artistico parallelo più interessante.

Il trailer originale – e pessimo – del film: